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28/06/2019
La procedura per disavanzi eccessivi della Commissione
L’Ue potrebbe chiedere alla BCE ed alla Banca europea investimenti (Bei) di rallentare il flusso degli investimenti e dei prestiti diretti nel nostro paese

L’Italia è sotto osservazione da parte di Bruxelles. Quello che rischia è una procedura d’infrazione. Meglio nota come procedura per disavanzi eccessivi, prevista dall'articolo 126 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea. Per la cronaca non è la prima volta che il nostro paese finisce sotto la lente d’ingrandimento della Commissione Europea. La procedura per disavanzo eccessivo, infatti, registra tre precedenti per noi: 2005, 2009 e novembre 2018. Tutti rientrati dopo manovre correttive adottate nelle politiche di bilancio. La procedura esiste perché facendo parte di una Unione Economica e Monetaria e condividendo con gli altri stati una moneta comune nessun paese aderente può accumulare un debito insostenibile. Perché una indisciplina fiscale oltre a provocare problemi al singolo paese (come accadrebbe allo stesso nel caso avesse una moneta nazionale sovrana), li potrebbe provocare anche a tutti gli altri. La storia in proposito è maestra. Tutte le unioni monetarie create da gruppi di paesi, si pensi a quella latina o quella tedesca del diciannovesimo secolo, sono fallite per l’indisciplina fiscale dei singoli stati. Ma veniamo al dunque. Perché la Commissione pensa che l’Italia abbia violato questa regola? Innanzitutto perché mentre dal 2014 al 2017 (durante i governi  Renzi e Gentiloni) il rapporto debito/Pil è diminuito, lentamente ma con costanza, dal 131,8% al 131,4%, nel 2018 per la prima volta è aumentato toccando il 132,2%. Ed inoltre perché non si sta riducendo il deficit (che è il meccanismo che determina l’andamento del debito) e non si stanno attuando le riforme strutturali che servono ad aumentare la crescita potenziale del Pil.

Nello specifico la Commissione è molto critica sulle scelte di politica economica del governo giallo-verde: piuttosto che proseguire sul processo d’innovazione e di stimolo alla produttività (digitalizzazione,  riforma della giustizia, riduzione divario Nord-Sud, lotta all’evasione fiscale e riduzione del cuneo fiscale), il governo giallo-verde ha imboccato una strada diversa, lastricata dalla sciagurata scelta di ‘quota  100’ e del reddito di cittadinanza: sciagurata perché mandare in pensione anticipata un po’ di sessantaduenni, impegnando 21 miliardi in tre anni non rappresenta né un provvedimento di equità, e nemmeno di  efficienza. Per non parlare del reddito di cittadinanza che paga le persone per farle restare inattive e che non combatte la povertà e l’esclusione sociale. Come ha reagito il nostro esecutivo alla paventata procedura d’infrazione? Mentre il Presidente del Consiglio ha affermato che va assolutamente evitata e Di Maio si è assunto il ruolo di mediatore, Salvini s’è messo di traverso, il che è molto preoccupante. Salvini contesta la legittimità stessa, oltre che la logica economica, della procedura di infrazione. Per quanto scritto sopra ci sembra che quest’ultimo sia in torto ed auspichiamo che si trovi una intesa con Bruxelles come accaduto negli altri tre casi. La Commissione da parte sua se ciò non dovesse avvenire potrebbe decidere di percorrere tre strade. La prima è una multa al nostro paese che oscillerebbe tra lo 0,2% e lo 0,5% del Pil. Insomma una cifra che potrebbe toccare i 9 miliardi di euro. La seconda, invece, è l’obbligo all’Italia di fornire informazioni dettagliate alla Commissione sulle emissioni dei titoli di Stato messe in cantiere. Mentre la terza è più scoscesa. L’Ue potrebbe, infatti, chiedere alla BCE ed alla Banca europea investimenti (Bei) di rallentare il flusso degli investimenti e dei prestiti diretti nel nostro paese compresa la sospensione dell’erogazione dei fondi strutturali. Arrivando ad imporre la creazione di un deposito infruttifero formato da due parti. La prima è fissa e corrisponde allo 0,2% del Pil e andrebbe versata nel caso dello sforamento del 3% del deficit mentre la seconda, variabile, coincide con lo 0,1% supplementare per ogni decimo di punto oltre il 3%. Questi fondi accantonati dovrebbero essere utilizzati poi per saldare le sanzioni economiche nel caso, entro 2 anni, l’Italia non si fosse messa in regola con le norme europee. Quello che ci consola è che per ora la procedura d’infrazione ancora non è stata aperta. Visto che la Commissione si è limitata solo a prendere atto dei dati che configurano una violazione delle regole fiscali da parte dell’Italia. Ma la decisione finale verrà presa dal Consiglio Europeo il prossimo 09 luglio. Staremo a vedere.

Marco Boleo

 

 

 

 




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