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30/05/2019
“La pace non è tutto, però senza la pace tutto è niente”
Intervista al Prof. Franjo Topic

L’uomo pieno di qualità: si potrebbe definire così, parafrasando il titolo del celeberrimo romanzo di Musil, il Prof. Franjo Topic.

Non è un prete qualunque: teologo, scrittore, giornalista, conferenziere, docente. Ma soprattutto uomo di pace, che si è battuto strenuamente durante gli anni cruenti della guerra in Bosnia Erzegovina, per aiutare chiunque ne avesse bisogno: ha aperto le sacrestie e le ha offerte come rifugio a quanti ne avevano necessità, cristiani, musulmani, protestanti. E oggi è un personaggio molto apprezzato e benvoluto, non solo per gli importanti incarichi ricoperti anche in ambito ecclesiastico ma soprattutto per le sue grandi doti umane.

A luglio lascerà la Presidenza di Napredak, che guida dal 1990, destinato ad altri importanti incarichi, dicono i beninformati. A lui, da anni amico personale del MCL e del Presidente Costalli, abbiamo rivolto alcune domande per i lettori di Traguardi Sociali.

Prof. Topic, una delle sue espressioni preferite, ormai pienamente entrata nei nostri cuori, è: “non c’è guerra santa, c’è solo la pace santa”. Eppure la storia ci mostra che in nome delle religioni si sono combattute guerre sanguinarie e compiute stragi efferate, nel passato come ai nostri giorni. Qual è il suo punto di vista di teologo?

Sì, e accanto a questa frase ce n’è un’altra che spesso ripeto: “La pace non è tutto, però senza la pace tutto è niente”.

Il mio punto di vista di teologo coincide pienamente con la mia posizione personale: occorre promuovere incessantemente un’architettura della pace. Recentemente noi abbiamo vissuto la guerra con tutte le sue tragiche conseguenze. La pace, dal punto di vista teologico, è un dono di Dio affidato a tutti noi. Però per la pace, come per tutto il bene, nella vita ci si deve impegnare. Purtroppo, i fatti concreti, anche quelli più recenti, mostrano chiaramente come tale visione sia stata via via dimenticata con conseguenze e divisioni laceranti per l’intera umanità. Occorre impegnarsi per costruire ponti tra religioni, culture, nazioni, idee e visioni del mondo contrastanti. Tutto ciò rappresenta un’opportunità anche per la stessa teologia che spesso viene intesa, erroneamente, solo come una parte isolata e astratta, che non ha molto a che fare con la vita concreta. Per quanto mi riguarda, invece, io cerco tramite la mia fede e la teologia di mettere in pratica questi principi, lavorando nel campo della cultura e del sociale, attraverso l’associazione Napredak (che vuole dire ‘progresso’). La teologia che esce da se stessa e dalle proprie riflessioni per rimboccarsi le maniche e costruire ponti fra le “sponde diverse” potrebbe essere il nuovo paradigma teologico contemporaneo. Le religioni non possono tirarsi indietro rispetto alla promozione della pace nel mondo contemporaneo. Come diceva il teologo Hans Kung: “Non c’è pace fra le nazioni senza pace fra le religioni”.

A più di vent’anni dalla fine della guerra in Bosnia Erzegovina, che ha lasciato ferite tali che non basteranno generazioni per risanarle, qual è il suo bilancio sulla ricostruzione del tessuto sociale?

La Bosnia Erzegovina spesso viene definita come uno “Stato fragile”, ossia uno Stato in cui si corrono elevati rischi di varia natura, che si caratterizza per l’insufficiente capacità di gestire lo status quo. La fragilità della Bosnia Erzegovina assume diverse forme: economica, ambientale, politica, sociale e sul piano della sicurezza. D’altro canto, malgrado le tante difficoltà, si registrano progressi significativi per quanto riguarda la ricostruzione del tessuto sociale. Si tratta ancora, però, di iniziative per lo più individuali e non ancora istituzionalizzate. Occorre, quindi, cercare nuovi modi per inserire le buone prassi nel sistema normativo, nelle consuetudini e nelle leggi. Le religioni, assieme agli attori culturali, possono e devono dare il loro contributo: lo dobbiamo alle future generazioni!

Quale futuro intravede per la Bosnia Erzegovina in Europa, anche alla luce del rinnovo dei vertici di tutte le istituzioni europee?

Bosnia ed Erzegovina rappresentano una realtà multireligiosa, in cui coesistono 3,5 milioni di abitanti dei quali il 50% è di fede mussulmana (bosniaci), il 30% ortodossa (serbi) e il 15% cattolica (croati).

L'allargamento dell'Unione europea, che noi auspichiamo con convinzione da tempo, servirebbe, in primis, alla Bosnia Erzegovina, che potrebbe così finalmente avviare un percorso di adeguamento legislativo: molte leggi vigenti infatti, per esempio quelle relative ai diritti umani, sono ancora lontane dagli standard legislativi europei.

L’ingresso in UE rappresenterebbe quindi per noi una chance per fare un salto qualitativo istituzionale che avrebbe senz’altro effetti positivi per la vita dei nostri concittadini. La stabilità reale e politica, la pace duratura, la prosperità economica: sono questi i più grandi desideri dei nostri concittadini. All’interno di un contesto stabile, quale l’Unione Europea, potrebbero emergere molte cose positive per le persone.

C’è da sperare che i vertici europei siano abbastanza lungimiranti da perseguire senza tentennamenti il disegno dell’allargamento in favore della Bosnia (tailor-made approach, ossia con un approccio mirato), che abbia la capacità di unire fra loro le diversità. Ritengo che senza la pace in Bosnia Erzegovina non vi potrà essere pace nemmeno in Europa. Perché se sul corpo c’è una ferita, è tutto il corpo a soffrirne.

Recentemente lei è stato insignito del premio individuale della città di Sarajevo 2019 per i significativi contributi nel campo della cultura e dell’arte. Un premio prestigioso, consegnato nel corso di una cerimonia solenne davanti al Consiglio comunale della città di Sarajevo, il 6 aprile scorso: un premio che rappresenta un riconoscimento ma anche al tempo stesso una responsabilità per il futuro. Cosa ne pensa?

Il premio menzionato rappresenta un riconoscimento importante per me e i miei familiari, ma ancor più è il riconoscimento alla chiesa locale, al Seminario maggiore dove abito, alla Facoltà di Teologia Cattolica in cui insegno, e a Napredak.

È una bella sensazione quella di essere premiato unanimemente dalla giuria “per i significativi contributi nel campo della cultura e della società”. Si noti, peraltro, che la maggioranza assoluta nella giunta della città non è composta da cattolici né da appartenenti a un unico Partito. Questo Premio è per me il frutto di un lungo percorso durante il quale non ho mai negato la mia identità e, al tempo stesso, ho sempre tentato di rispettare e valorizzare l’identità altrui. Il Premio città di Sarajevo 2019, onora e valorizza il tipo di vita che continuo a vivere di giorno in giorno.

Napredak, l’associazione culturale croata di cui lei è presidente dal 1990, sta lavorando alacremente e su vari fronti per cercare di costruire ponti di pace, attraverso il dialogo e l’amicizia. Un compito fondamentale per un futuro di pace, che è anche la sua personale missione. Ci descrive meglio le tante attività che svolgete?

Napredak è un’associazione sui generis. Difficile descriverla in modo sintetico e comprensibile per i lettori italiani, quindi mi soffermerò solo su alcuni punti significativi. Fondata nel 1902 per aiutare gli studenti, Napredak, grazie anche alle sue sette case per gli studenti, ha dato aiuti concreti e migliaia di borse di studio. Fra i borsisti ci sono molti personaggi noti nel nostro Paese, fra gli altri anche due premi Nobel: Ivo Andrić e Vladimir Prelog.

Napredak si è sempre occupata del lavoro culturale nel senso più ampio. Oggi abbiamo 65 filiali in Bosnia Erzegovina e in altri Paesi, ben 40 corali, orchestre, pubblichiamo tre periodici, abbiamo una squadra di calcio in serie C, tre squadre di scacchi in serie A, una biblioteca fornita di 40.000 libri. Non solo: quest’anno abbiamo elargito 35 borse di studio del valore di 35.000 euro. Napredak nel 2017 ha organizzato 518 manifestazioni culturali. Là dove c’era disordine e discordia, Napredak ha sempre cercato di unire. La nostra associazione è composta non solo da croati, ma anche da serbi e mussulmani.

Posso dire con una certa soddisfazione che le attività di Napredak sono a misura di essere umano. Cerchiamo sempre di orientare le nostre attività verso le categorie più deboli: in primis i giovani, in favore dei quali, negli ultimi 29 anni, abbiamo stanziato più di 3.000 borse di studio.Napredak, insomma, cerca di colmare le lacune causate dalle fragilità presenti nella nostra società. Lo fa, grazie a Dio, con successo e raccogliendo riconoscenza. Napredak è un grande progetto di ecumenismo e di dialogo. Questo lo sa bene il MCL, con a capo il presidente Carlo Costalli con il quale collaboriamo ormai da anni. E proprio grazie agli aiuti del MCL abbiamo potuto costruire una casa per il dialogo sul monte Trebević, vicino Sarajevo. Adesso quattro ragazzi italiani, tramite MCL e Napredak, stanno svolgendo il servizio civile a Sarajevo.

 Fiammetta Sagliocca

 




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