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16/04/2019
Il moto perpetuo dell'economia funziona davvero?
Nel quadro programmatico del DEF, il MEF calcola che il tasso di disoccupazione passerĂ  dall'attuale 10,6% all'11,0% del 2019 e all'11,1% del 2020.

Molti distratti dalla presentazione del  DEF, del quale vi daremo un resoconto completo in un prossimo articolo, hanno prestato poca attenzione alle esternazioni del Presidente dell’INPS Pasquale Trìdico ed ai consigli degli esperti del Fondo Monetario Internazionale. Quando ne sono venuto a conoscenza sono sobbalzato dalla sedia. Se fossero venute da qualche commentatore laureatosi nell’università della vita le avrei accettate come una nota di colore nel dibattito ma essendo venute da economisti con tanto di laurea e specializzazione devono essere falsificate. Iniziamo con Trìdico.  Il Presidente dell'INPS, nonché consulente del Ministro e Vice Premier Luigi Di Maio, ha lanciato una proposta che nelle sue intenzioni dovrebbe cambiare il mercato del lavoro: ridurre l'orario di lavoro a parità di salario per aumentare l'occupazione. Ma non mi voglio occupare diffusamente di questa, poiché si confuta ricordando che solo in presenza di aumenti di produttività, questi ultimi si potranno redistribuire riducendo l’orario di lavoro. Quella che intendo, invece, confutare è un’altra perla del prof. Trìdico: il "moto perpetuo dell’economia" scoperto dall'economista di Roma Tre, ed appena smentita dal Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF) nel Documento di Economia e Finanza (DEF) . L'idea "rivoluzionaria" del Presidente dell’INPS è quella di aumentare il Pil potenziale dell’Italia con un artificio, in modo da aggirare con un abile e temerario stratagemma la regola del deficit di bilancio strutturale. Pertanto cos'è questa regola? E' quella regola, contenuta nel Patto di Stabilità e Crescita, secondo la quale l'indebitamento dei Paesi con elevato debito pubblico deve raggiungere (o tendere a raggiungere) nel medio periodo il pareggio del bilancio: uscite meno entrate uguale a zero.  Nella formula dalla quale si ottiene il Saldo di Bilancio compare il concetto di Output Gap, indicato come la differenza fra il PIL reale e il PIL potenziale che si avrebbe se tutti i fattori produttivi fossero impiegati pienamente nel sistema economico.

Cosa propone il nostro a questo punto? Che se i lavoratori inattivi (quelli che non cercano attivamente il lavoro) vengono trasformati in disoccupati in cerca di lavoro si ottiene un aumento del Pil potenziale, del conseguente output gap (vuoto di Pil), e del margine per l'indebitamento. Ma il nostro temerario, viene smentito dai tecnici del MEF. Nel quadro programmatico del DEF, infatti, il MEF calcola che il tasso di disoccupazione passerà dall'attuale 10,6% all'11,0% del 2019 e all'11,1% del 2020. Che cosa non quadra nel ragionamento di Tridico? Non tornano i seguenti quattro punti: i) il fattore lavoro contribuisce alla crescita del PIL potenziale solo per lo 0,65; ii) dalla componente lavoro vanno estrapolati i dati di trend dell'occupazione, per cui non si può fare la semplice operazione algebrica nuovi disoccupati - vecchi inattivi; iii) bisogna estrapolare le proiezioni demografiche sul numero di persone in età lavorativa; e iv)  nell'output gap bisogna considerare il trend di ore lavorate per lavoratore (ma un disoccupato non ha ore lavorate). Ragion per cui i tecnici del MEF calcolando l'incidenza di questi fattori smentiscono le affermazioni del prof. Trìdico. In altre e più semplici parole, il Presidente dell’INPS dimostra di non conoscere la formula per il calcolo del Pil potenziale e ha raccontato, e continua a raccontare fandonie. Pertanto nel caso fosse stato uno studente all’esame di macroeconomia si sarebbe meritato una sonora bocciatura ma purtroppo il nostro è un docente universitario. Ed ora gli esperti del FMI.  Quest’ultimi dopo aver evidenziato nella loro analisi tre verità sacrosante.

Nell’ordine: i) il debito pubblico italiano rappresenta un fattore di rischio; ii) l’Italia deve diminuire le tasse sui fattori produttivi; e iii) il nostro paese deve tagliare la spesa pubblica per avere una posizione fiscale che consenta di diminuire la tassazione sui fattori produttivi. Invitano erroneamente, a nostro avviso, il nostro paese ad aumentare la pressione fiscale in modo "moderno" sulla prima casa. L’idea è buona ma per paesi che non hanno un eccessivo carico fiscale come il nostro, visto che consiglia di travasare risorse dalla rendita ai fattori produttivi: stimolando così la crescita. Noi, invece, ci sentiamo di fare una proposta diversa. Visto che nel nostro paese, secondo un recente studio dell’OCSE, su 100 euro di costo del lavoro ben 47,9 euro se ne vanno in tasse e contributi, con oltre 12 punti percentuali sopra la media OCSE, bisognerebbe portare nell’arco di 5 anni le tasse sul lavoro al livello medio dell’area OCSE. Ripartendo lo sgravio per metà nelle buste paga dei lavoratori e per metà a vantaggio dei datori di lavoro. Altro che flat tax o tassa moderna sulla prima casa.

Marco Boleo

 

 

 

 




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