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11/04/2019
Verso le Europee di maggio
Sovranisti ed anti sovranisti.

Oggi sembra che l’Europa si divida in sovranisti e anti sovranisti o, se preferite, in populisti ed europeisti. Terrificante, vero? Cosa c’è di peggio, per un cultore della competitività, dei mercati, dell’austerity (e quindi della Troika, del MES, dell’Unione politica ecc. ecc.) di vedersi omologato a un gilet giallo di Parigi? E cosa c’è di peggio per un dissidente rispetto al sistema di sentirsi accomunato a un’eminenza grigia di Bruxelles? Eppure, paradossalmente, entrambi coltivano una fede condivisa sintetizzabile nel seguente credo: l’Italia ha perso la propria sovranità. La differenza sta nella reazione a questo annuncio quasi mortifero.

Analizziamo: l’europeista esulta perché non siamo più “padroni a casa nostra”, ma finalmente siamo dentro a delle regole che, da soli, non abbiamo saputo darci ma che con l’aiuto dei virtuosi Paesi nordici e del loro vincolo esterno finalmente rispetteremo. Se ci pensate bene una sorta di rieducazione morale delle masse italiote ottenuta a colpi di crisi, di spread, di rinuncia all’egoismo nazionale. Il sovranista, invece, pensa l’opposto: il furto, lo scippo addirittura, della sovranità patria è un delitto che grida vendetta al cospetto della nostra Carta Costituzionale e che può essere risolto solo con soluzioni ultimative. Il primo propone di andare avanti senz’altro e di imbullonare definitivamente le sbarre della prigione. Il secondo vagheggia di evadere dal carcere e si strugge, invano, nell’elaborazione di complicatissimi piani di fuga.

Alcuni addirittura teorizzano la “terza via”. Essa consiste nel non andare né avanti (perché significherebbe rischiare il definitivo approdo a un regime solo formalmente democratico) né indietro (perché la rottura traumatica dell’ordinamento giuridico attuale implica uno choc e un prezzo che neppure molti sovranisti sono disposti a pagare). E allora? Allora restiamo fermi. Il punto chiave è restare fermi, con in testa un comandamento ben preciso: non firmare né ratificare nuovi trattati internazionali, soprattutto in ambito europeo, che mettano a repentaglio l’articolo 11 della nostra Costituzione, laddove si prevedono non “cessioni”, ma al massimo “limitazioni” di sovranità pensate dai costituenti esclusivamente per una organizzazione come le Nazioni Unite.

Tornando a casa nostra, possiamo dire, che per ora non abbiamo ancora perduto la sovranità fiscale e non abbiamo neanche smarrito quella monetaria. Procediamo con significativi ritocchi come ad esempio la abrogazione, per via di riforma costituzionale, delle norme introdotte con il Fiscal Compact e lavoriamo di cesello per individuare i bachi del sistema e sfruttarli a beneficio di politiche finalmente e veramente popolari e sociali e non più succubi dei diktat del duopolio Mercati&Finanza. Ci sono gli strumenti politici, economici, giuridici, e persino piscologici e comunicativi, per riuscirci: cioè per ben impiegare quella sovranità di cui non siamo stati (ancora) privati.

Eccoci allora che dopo l'infinita, ormai permanente campagna elettorale italiana, ahinoi, ci toccherà sorbirci anche la campagna elettorale per il Parlamento europeo. Condotta anch’essa con gli stessi medesimi "sobri" toni che caratterizzano lo scontro politico nostrano.

La campagna elettorale per le europee, cari lettori, ormai è diventata importante anche per gli elettori del vecchio continente, i quali si sono resi conto, sulla loro pelle e nelle loro tasche, che Bruxelles conta e che il tipo di Commissione che governerà i nostri conti pubblici o continuerà a non saper governare i flussi di immigrazione clandestina che da anni continuano a investire l'Europa, dipenderà anche da come finiranno le elezioni del prossimo maggio. Lo scontro si preannuncia teso e la campagna non ci farà mancare livore e retorica. Ne abbiamo avuto un assaggio nel botta e risposta a distanza tra Matteo Salvini e Emmanuel Macron. Il primo in ascesa costante nei sondaggi, ma con la magistratura alle calcagna e il rischio di bancarotta finanziaria del partito a causa principalmente di chi l'ha preceduto. Il secondo in bancarotta di consensi, infatti esso è il presidente francese con il più basso gradimento a un anno dalla sua elezione della storia della V Repubblica, pensate peggio persino di François Hollande.

Insomma, la realtà è più complessa di quella che vorrebbero farci credere gli uni e gli altri. La posta in gioco è la capacità di rimuovere gli eccessi di rigidità che impediscono all'Unione e ai Paesi membri di governare in maniera efficace tanto la politica economica quanto quella migratoria, allontanando la prospettiva della necessaria coniugazione di efficienza e solidarietà, di apertura e sicurezza. La sola cosa certa è che, a forza di ripetere slogan triti e ritriti ("difendiamo l'Europa", "è colpa dell'Europa", "accogliamoli tutti", "tornate a casa vostra") rischiamo di non vedere se c'è qualcosa di diverso e di nuovo in giro per il Continente.

Quindi le prossimi elezioni saranno molto importanti per tutti i Paesi membri, passiamo infatti alla Germania, anche qui si confermano le difficoltà di Angela Merkel quanto quelle dei socialdemocratici. Paradossalmente, proprio il fatto di essere al governo insieme rischia di rendere molto più spuntata che altrove la sacra alleanza anti populismo. AfD, che è già il secondo partito in tre Laender, potrebbe diventarlo a livello nazionale, costringendo la dirigenza socialdemocratica a interrogarsi sul fatto se convenga decretare la fine o l'emarginazione politica della Spd pur di continuare a sostenere il governo di Frau Angela. Va notato che proprio sull'immigrazione irregolare le tensioni tra Cdu e Csu sono molto cresciute nel corso degli ultimi mesi, proprio per la paura dei dirigenti di quest'ultima di vedere insidiata la propria storica egemonia in Baviera dalla crescita di consensi per AfD. Come potete ben capire anche in Germania una parte crescente di tedeschi sconfessa la politica di Merkel sull'immigrazione, chiedendo implicitamente misure più severe, difficilmente adottabili dalla Grande coalizione e dalla stessa Angela Merkel.

Anche in Svezia l’onda sovranista cresce, ma non abbastanza da rovesciare gli assetti di governo. Si ripete lo schema Le Pen, col Front National primo nei consensi ma non in grado di essere maggioranza né in grado di trovare alleati. E a quel punto scatta la coalizione anti sovranista, tutti contro uno, e nascono governi stentati su fragili alleanze.

Il vero problema è che siamo nel mezzo del guado, e dunque la situazione rischia la paralisi tra il non ancora e il non più. Perché poi i governi europeisti tra moderati e progressisti uniscono due debolezze e due declini, trascinano i paesi in coalizioni politiche di mera sopravvivenza, dentro sistemi fatiscenti, subordinati ai potentati economici, lontani dal popolo, dentro un’Europa ridotta a unione monetaria nel nome degli apparati di comando. Ma torniamo, per un attimo, alla rappresentazione e alla percezione che ne ha la gente, ne danno i media, ne dà il potere.

L’Europa di oggi è fondata sulla paura. Paura dello straniero per taluni, paura dei nazionalisti per talatri. Xenofobia e nazionefobia sono le due categorie politiche dominanti, le twin towers dell’Europa. Ma con la paura non si compiono scelte assennate. Fino a ieri nominavi la Svezia, l’Olanda, i paesi scandinavi e i paesi bassi, e spuntavano le immagini del socialismo democratico, della società aperta, permissiva, globale e spregiudicata, della droga libera, dell’eutanasia, delle coppie omosessuali esibite e parificate alle famiglie. Adesso nomini quei paesi e senti dire xenofobia, razzismo, nazionalismo. Fino a oggi appena nomini l’estrema destra ti viene fuori la solita genealogia: l’Austria reazionaria, asburgica e patria di Hitler, la Germania del Terzo Reich, la Francia di Vichy. Più l’aggravante cattolico-tradizionalista. E ora come la mettiamo che pure la permissiva, la protestante, la mai fascista Svezia, si rivolge a quella destra, dopo la Norvegia, l’Olanda e altri paesi nordeuropei?

E come la mettiamo con paesi che hanno subito il nazismo e soprattutto il comunismo e ora si votano al sovranismo, come l’Ungheria, la Polonia, i cechi e gli slovacchi, cioè i paesi di Visegrad?

Sgomberiamo subito il campo da un’ossessione. L’antisemitismo e il razzismo non c’entrano con questa ondata populista, sovranista e nazionalista. In realtà c’è paura, umanissima e giustificatissima per l’ignoto e per l’estraneo, per la difficile convivenza, per il disagio sociale, per la criminalità legata a tutti questi fattori di instabilità. Quando la paura colpisce in modo così massiccio popoli maturi e civili non si può gridare al demonio, bisogna porsi il problema e affrontarlo fuori dai codici ideologici.

Io credo che rispetto allo straniero si devono portare a rigore due posizioni divergenti ma entrambi giustificate e rispettabili: quella di chi dice accoglienza punto e basta, viva la società multiculturale; e quella di chi dice accoglienza limitata e condizionata, e tutela prioritaria della comunità locale e nazionale e dei suoi confini. Sono due posizioni nettamente opposte, entrambi comprensibili e legittime se condotte con realismo e senza fanatismo. Se si accolgono nell’agone politico della democrazia entrambe le posizioni si spuntano le armi agli estremismi, ai fondamentalismi, alle violenze.

Se ci pensiamo bene, larga parte dei movimenti sovranisti non sono contro l’Europa ma contro l’Eurocrazia, ovvero contro le oligarchie finanziarie, tecnocratiche o ideologiche che decidono i destini dell'Europa a prescindere dai popoli e dalla loro realtà concreta. Sono movimenti fondati sull’importanza decisiva del confine e sulla priorità delle popolazioni autoctone e degli Stati nazionali rispetto al mondo esterno.

Uscendo dal demagogico populismo antisistema, queste forze sarebbero costrette a rendere ragionevole, realista e compatibile la loro posizione: e questo si può convertire in un rafforzamento della base democratica e popolare dell’Europa al suo interno e di una maggiore incisività strategica e politica all’esterno. Anzi, queste spinte, opportunamente metabolizzate, possono alimentare un patriottismo europeo, o un patriottismo dei cerchi concentrici, che va dalla piccola patria alla nazione fino alla patria europea. Questi movimenti invocano, seppure a volte con rozzezza e demagogia, il ritorno della  politica e delle passioni comunitarie, il ritorno ai popoli e alle loro sovranità, la salvaguardia della civiltà e della continuità con la storia. 

Dicono che queste forze rappresentino una minaccia per la democrazia e per la libertà. Ma oggi la democrazia  come sovranità popolare è minacciata più da chi vuole invalidare i verdetti elettorali piuttosto che da chi vuole rispettarli. Quanto alla libertà vorrei ricordare che molti di questi partiti sovranisti sono di estrazione liberale e si presentano come partiti democratici del progresso, dell’Occidente, della modernità contro le invasioni islamiche.

Luca Cappelli

 




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