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12/04/2019
La via stretta di Salvini
L’emblema di questa situazione è il varo di un Def senza un vero indirizzo strategico

Non sarà la diffidenza e lo scetticismo degli uomini “vestiti di giacca e cravatta di qualità” (definizione di Federico Fubini che se ne intende) riuniti a Cernobbio dallo studio Ambrosetti a render più difficile la vita di Matteo Salvini. Se otto top manager su dieci giudicano negativamente il governo, il vice premier della Lega può farsene una ragione; in fondo non è mai stato nelle loro simpatie. Questi uomini in grigio passano la loro giornata su jet di linea o privati e nei piani alti dei building affairs e la loro influenza non può spostare maggioranze elettorali, anche se,   laddove  i voti “si pesano e non si contano”, i loro pareri si faranno sentire.

La Lega, tradizionalmente, ha un diverso retroterra sociale. La trama delle piccole e medie imprese, l’eccellente qualità dei distretti che fanno la ricchezza, non solo economica,  di vaste zone regionali,  ne sono l’interfaccia. Nel tempo nel quale la politica ha fatto tanti passi indietro e deve umiliarsi e sottoporsi al “giudizio dei mercati”, i “giudici” di Salvini vestono vintage o le tute degli artigiani e vivono nei villini con il garage nella pianura padana a pochi passi dalla fabbrica. Si è aggiunto, per adesso, un altro popolo: quello delle periferie preoccupate da immigrazione e sicurezza o delle famiglie nei guai per la disoccupazione dei figli.  Oggi, come ci confidava l’intelligente eurodeputato Salini, anche la Lega è diventata un partito d’opinione, ma questa novità che, al momento, sembra  la sua forza e gonfia i dati dei sondaggi, può facilmente divenire la sua debolezza, poiché siamo in un’epoca di consenso instabile. Renzi docet.

Accanto al martellante e “rassicurante” messaggio della chiusura dei porti o della legittima difesa, però, il partito non può dimenticare il suo tradizionale ancoraggio sociale, anche perché, la storia lo dimostra, il ceto medio – compreso quello produttivo – nei riguardi dei partiti di maggior consenso, ha sempre rappresentato la forza, se si avvicina,  o la debolezza,   se si allontana.

Qual è lo stato dei rapporti tra la Lega di Salvini e il suo retroterra sociale?

Prima di rispondere dobbiamo fare qualche bilancio, provvisorio, ma non troppo.   Il primo anno di governo non ha prodotto decisioni che prendano in esame i problemi dei ceti medi produttivi. Poche o nulle le promesse agevolazioni fiscali; le risorse del bilancio sono state riversate su due provvedimenti che non li riguardano minimamente: reddito di cittadinanza e quota cento. L’edilizia - le batiment – non va e quando non va, parafrasando i francesi  tutto si ferma. I cantieri delle grandi opere sono fermi e non sarà facile metterli in moto, perché i problemi vengono da lontano, cioè da un groviglio di norme e di procedure che sono paralizzanti e non si vendono all’orizzonte novità sostanziali che sbroglino questa matassa. L’escamotage dei 5 stelle ispirata ad una visione di “decrescita felice” di ripetere le analisi costi benefici è sabbia negli ingranaggi.  Del resto anche le piccole e medie imprese hanno bisogno delle grandi infrastrutture, perché sono un volano di  collegamenti e forniture più vaste e articolate. I decreti crescita e sblocca cantieri stentano ad uscire e forse partoriranno topolini.  La bonaccia della produzione cinese e il rallentamento del commercio con gli stati Uniti insieme alla frenata della “locomotiva” tedesca fanno soffiare venti di recessione, mentre non solo per questo  i  già difficili conti di fine anno renderanno assai improbabile mettere in agenda una vasta flat tax che lenisca la sofferenza di imprese e famiglie. L’Europa, aggiungiamo, oltre ai pesi più generali, sta varando una direttiva sui crediti NPL che non è una buona notizia per le aziende in difficoltà e neppure per le piccole banche che li hanno in pancia.

Insomma non c’è dubbio che di tutto questo, tra non molto, la gente ne farà carico al governo. Il gioco di riversare la responsabilità allo sgusciante ’”alleato” Di Maio di ciò che non potrà essere realizzato, non sarà semplice per Salvini. Agli occhi degli elettori, governare significa assumere le responsabilità e nelle giornate oscure, quando le saracinesche si chiudono, “tutti i gatti sono grigi”, senza alibistiche distinzioni.

L’emblema di questa situazione è il varo di un Def senza un vero indirizzo strategico, come di un passaggio dovuto che rimanda la vera partita all’autunno. Formalmente ci può anche stare, ma politicamente significa un passo verso l’impotenza. Un segnale significativo in questa direzione, per la Lega, ignorato dai più, c’era già stato, cioè l’abbandono del governo da parte di Savona.   

I tempi veloci del successo in politica, segnano però anche la rapida successione degli eventi.  Le elezioni europee a maggio ci porteranno, accompagnati dai commenti di parte, all’estate e, con la ripresa di autunno - non si vede all’orizzonte cosa di buono potrà accadere – con le prime bozze della legge di bilancio - ci si renderà conto del divorzio tra aspettative e realtà, tra promesse e fatti. E per rispondere alla domanda che ci siamo posti: anche tra Salvini e il suo retroterra sociale.

Salvini non lo dà a vedere, ma sta vivendo una forte contraddizione tra ciò che il suo elettorato storico gli chiede e la concreta possibilità di realizzare. La via si va facendo sempre più stretta.

Pietro Giubilo  

 

   

 

 

 




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