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06/12/2018
Dove sono rintanati gli intellettuali del Sud?
Il Sud resta a guardare

Che fine ha fatto la borghesia meridionale? Dov’è finito il ceto medio riflessivo delle capitali del Mezzogiorno (Napoli, Bari e Palermo)? Dove stanno rintanati gli intellettuali del Sud? Domande tanto più inquietanti se persino nella sonnolenta e governativa capitale d’Italia, qualcuno ha cominciato a contestare i danni dell’impalpabile sindaca grillina. Per non parlare delle sette madamine torinesi che hanno portato in piazza il fronte del Sì alla Tav e alle infrastrutture. Ma soprattutto dinanzi alla mobilitazione annunciata in Lombardia dalla piccola e media borghesia che ha scelto il 13 dicembre (Santa Lucia) per lanciare il proprio grido di dolore contro la burocrazia e l’assistenzialismo e a favore degli investimenti e della crescita. Un’agenda di sviluppo dichiaratamente antigovernativa, ma senza bandiere politiche come già era accaduto a Roma e Torino.

Dunque, la realtà ci dice che si tratta di tre piazze della borghesia piccola e media, ma due del Nord e una del centro Italia. Il Sud, invece, resta a guardare, anche perché qui prevale la piccola borghesia. Infatti, laddove non si sviluppa l’impresa, è difficile che cresca una borghesia moderna capace di percepirsi e di agire come ossatura di una classe dirigente capace di rinnovarsi. Al massimo questa piccola borghesia si fa protagonista, ma solo per qualche ora, con i cinquestelle delusi dalle promesse non mantenute dai loro capi, come è accaduto con la brevissima contestazione dei no Tap leccesi, subito rientrati nei ranghi. 

Un Sud addormentato e rassegnato sembra confermare l’intuizione vincente di Luigi Di Maio: basta dargli un piccolo osso da spolpare, come nelle più tristi rappresentazioni della storia delle classi subalterne del meridione di cui siamo debitori nei confronti dei più grandi etnologi e antropologi del nostro Paese. Tutti, però, del secolo scorso…  Ora la narrazione è fatta per immagini che esondano dalle reti pubbliche televisive, ma non riescono a scuotere i meridionali. Basti pensare al destino della Terra dei fuochi e all’esorbitante serie di promesse non mantenute dalle classi dirigenti. O alla farsa messa in scena dalle due forze governative sulla questione annosa del ciclo dei rifiuti, tutta giocata sulla diatriba “termovalorizzatori sì, termovalorizzatori no”.

Ma non è il popolo che dovrebbe sollevarsi, anche perché quando lo fa scorre il sangue (i gilet gialli francesi ne sono la riprova puntuale), bensì quella borghesia meridionale che ha rinunciato consapevolmente al proprio ruolo di coscienza critica. E’ come se avesse scontato tutto e abbia trovato i propri accomodamenti. A cominciare innanzitutto dal destino dei figli: studino al Sud o altrove non importa, purché dopo vadano lontano da questa terra senza futuro. Loro restano al calduccio delle piccole e grandi certezze di ieri: impiego pubblico a basso reddito ma sicuro, pensioni sociali, assegni di invalidità, sussidi locali, tassazioni da eludere, condoni di ogni genere, ruote da ungere per ottenere presunti favori che in realtà non sarebbero che normali diritti. E su tutta questa zona, già molto grigia, aleggia il mantello della malavita organizzata, mai doma e definitivamente sconfitta. Lei alimenta l’altro lavoro, quello “sporco”, che si affianca a quello “nero”. Così che lavoro ”nero” e “sporco” si autoassolvono e si legittimano come due forme complementari di ammortizzatore sociale. Una dose di veleno quotidiano instillato nel corpo già sfibrato del Sud.

Ma i meridionali, soprattutto i più deboli, non si fanno sentire anche perché sono in attesa delle pensioni e del reddito di cittadinanza che in quel mix che abbiamo descritto si vanno a incastrare a meraviglia. Un altro strumento di mera sopravvivenza, da affiancare a tutti quelli già in essere. Di orizzonti di sviluppo, tranne il turismo, neanche a parlarne. Salvo piccole aree di eccellenza e di faticosissima industrializzazione avanzata.

Dinanzi a questo contesto di sottosviluppo nel quale i giovani del Sud, nel migliore dei casi, seguono il consiglio di Giuseppe De Rita e trasformano i beni di famiglia in “bed and breakfast”, case vacanze e agriturismi, da gestire magari in “nero”, la borghesia meridionale affonda e si rattrappisce. Infatti, anche la rendita, alla distanza, impoverisce chi la sfrutta. Di sicuro, non contribuisce alla consapevolezza della borghesia meridionale, della quale purtroppo non conosciamo neppure la voce.  

Ovviamente ci piacerebbe essere smentiti già domani, ma temiamo di avere dannatamente ragione. Il Sud e la sua gente attendono ancora le briciole dalla tavola dei potenti di turno. Che poi si chiamino Di Maio e Salvini è un’ulteriore aggravante perché al Sud, per completare il dissesto, manca solo lo sfondamento definitivo del populismo e del sovranismo made in Italy.  

A questo punto, come mi capita spesso, dovrei chiedermi che ne è dei cattolici meridionali. Ma questa volta mi rifiuto categoricamente di farlo...

Domenico Delle Foglie

 

 




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