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05/10/2018
Il ”me ne frego' non porta bene
la politica europea dell’Italia rischierebbe assai se ritenesse percorribile il distacco dall’Europa

Il “me ne frego di Bruxelles” gettato da Salvini  nel confronto politico, dopo la redazione del Def,  non rappresenta solo un linguaggio arrogante, ma indica il volersi rifugiare in slogan rozzi per sottrarsi ad un necessario ragionamento che affronti la  realtà.

Certo sono  sin troppo scontate sia  la comparazione con un  linguaggio che, a suo tempo,  non portò bene all’Italia, sia   la sensazione che si tenti di mettere da parte la questione dei rapporti con Bruxelles che rappresentano un dato della realtà politica e istituzionale dell’Italia.

Non c’è dubbio che nella misura in cui si abbandonò il disegno politico dell’Europa e ci si incamminò sulla strada della sola logica economica, l’Italia avrebbe trovato difficoltà,  non certo per il suo  spessore economico che , pur minore rispetto a quello tedesco, resta uno dei primi nel Continente, quanto   per alcune costanti storiche quali  l’eterno egoismo francese e per il tentativo delle nazioni europee di isolarci rispetto al contesto internazionale. Ricordiamo che  quando,  sul terreno economico,  il nostro Paese sviluppò una intelligente  politica interventista, ad esempio con Mattei, la risposta degli interessi con i quali  andavamo a  scontrarci fu particolarmente dura. Analoga accezione  ebbe la vicenda libica del 2011.

Questo significa che la politica europea dell’Italia rischierebbe assai se ritenesse percorribile il distacco dall’Europa, mentre, al contrario, la salvaguardia del nostro interesse nazionale richiede che ad una logica prevalentemente economica si sostituisca  in Europa una prospettiva di forte ripresa del disegno politico.  Altro che il “me ne frego” , dobbiamo esercitare tutto il nostro peso per riportare l’Europa  sul terreno della politica.

In questa prospettiva, non dovremmo essere soli. Uscita l’Inghilterra, poco sensibile al disegno politico, anzi,  diciamolo francamente,  storicamente contraria,  il quadro internazionale apre spazi di intervento per imbastire una linea di rafforzamento  e rilancio della politica europea. L’attuale presidenza usa, con l’idea di un “primato americano”, lascia all’Europa il solo ambito di una adesione atlantica che restringerebbe notevolmente  il suo ruolo internazionale. Anche in questo caso la correzione di rotta deve essere condotta a scala europea. Questo scenario richiede che Berlino sviluppi la sua vocazione europeista, abbandonando lo stretto recinto dell’asse con Parigi che, mentre la garantisce  sul piano economico , delega la politica estera alle volubili iniziative francesi, come si è dimostrato più volte negli ultimi anni  nella sponda sud del Mediterraneo.

Insomma,  appare assai più attraente ed adeguato  un compito dell’Italia volto a ”cambiare l’Europa” piuttosto che  fregarsene di Bruxelles . Anche perché il cammino sia economico che politico è aperto a insidie di ogni genere.  Il peso dei fondi sovrani internazionali che agiscono sul mercato dei titoli appare soverchiante rispetto ad un Paese che si presenti debole e quindi isolato sul piano politico e la stessa costruzione politica europea che abbia come protagonista Berlino non sarebbe certamente agevolata dal tradizionale asse angloamericano. Alcuni interventi sul terreno istituzionale appaiono necessari come, ad esempio, una agenzia di rating europea,  una più ampia condivisione del rischio (eurobond) o qualche adeguamento  dello statuto della BCE in relazione ad una funzione di salvaguardi  rispetto a operazioni speculative  sui titoli di Stato dei singoli Paesi, sulla linea degli interventi di Draghi.  Tutte questioni di ordine politico a scala europea. 

A  scala nazionale , invece, tutto si complicherebbe irrimediabilmente.

Come ha detto in una recente intervista, prima di importanti incontri in sede europea,  il presidente del Mcl Carlo Costalli: “Questa Europa così com’è non funziona, ma ritengo che si possa migliorare solo standoci dentro,  correggendone le storture, limandone gli irrigidimenti, facendola maturare e crescere attraverso la riscoperta delle sue radici  e dei valori condivisi, e, soprattutto, dotandola di strumenti adeguati per far fronte ad un’epoca di globalizzazione sfrenata”. Aggiungendo, poi, rispondendo anticipatamente alla sconsiderata logica del “me ne frego”: “ Nessun Paese da solo, oggi, può risolvere i propri problemi, per questo dobbiamo rafforzare l’Ue, rientrando nell’orizzonte  europeo delle culture politiche  che hanno creato l’Europa  e allontanando gli sterili nazionalismi”.

Pietro Giubilo

 

 

 




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