La scorsa settimana il Consiglio dei Ministri ha approvato altri due decreti delegati del Jobs Act: il primo riguarda il riordino delle tipologie contrattuali e la revisione della disciplina delle mansioni, il secondo si riferisce alla conciliazione delle esigenze di cura, vita e di lavoro. Inoltre, il Governo ha approvato altri quattro schemi di decreti legislativi che adesso andranno al vaglio delle Commissioni Lavoro della Camera dei Deputati e del Senato per poi tornare al Consiglio dei Ministri. Questi decreti riguardano il riordino degli ammortizzatori sociali (la cassa integrazione è stata ridotta a 24 mesi, ma estesa anche alle impese che hanno tra 6 e 15 dipendenti) , l’Agenzia per le ispezioni, le politiche attive del lavoro, la semplificazione delle procedure e degli adempimenti. Insomma, ormai il Jobs Act è concluso anche se il Governo ha preferito glissare sulla spinosa questione del “salario minimo”.
Il 2016, quindi, vedrà la fine dei contratti di collaborazione a progetto - a parte i contratti di collaborazione regolamentate da accordi collettivi stipulati dai sindacati-, mettendo ancora di più in evidenza il ruolo dei nuovi contratti a tempo indeterminato sui quali l’esecutivo ha, di fatto, incentrato tutta la riforma. Allo stesso tempo, sono stati ridotti i costi dei contratti di apprendistato per le imprese ed è stata data la possibilità, in caso di ristrutturazione o riorganizzazione aziendale, di modificare le mansioni del lavoratore senza alterarne il trattamento economico. Anche se non viene percepito in tutta la sua rilevanza, il decreto legislativo sulla conciliazione introduce delle importanti novità. L’età fino alla quale possono essere sfruttati i congedi facoltativi (6 mesi) passa da 8 a 12 anni (senza retribuzione), mentre si passa dai 3 ai 6 anni per quelli retribuiti al 30%. Inoltre, il lavoratore può chiedere di trasformare il congedo parentale in part time. I congedi di paternità sono stati estesi a tutti i lavori, così come tutti i provvedimenti non fanno distinzione tra figli naturali, adottati o in affido. Per rispondere allo scandalo delle dimissioni in bianco in caso di gravidanza delle lavoratrici, sarà predisposto un modello di dimissioni che dovrà essere scaricato da sito del Ministero del lavoro in modo da non poter modificare la data. Unite alla volontà di valorizzare la contrattazione decentrata e alla previsione di finanziare gli asili nido in prossimità dei luoghi di lavoro o di incentivare servizi quali il “nido di famiglia”, si tratta di novità che potrebbero avere un impatto positivo e rilevante nella vita delle persone delle famiglie.
Il condizionale è d’obbligo non solo perché ogni norma va vista alla luce della realtà, ma soprattutto perché tutte queste novità hanno una copertura finanziaria fino alla fine dell’anno. Più semplicemente, queste norme saranno finanziate dal giorno della pubblicazione del decreto legislativo sulla Gazzetta Ufficiale fino alla fine dell’anno, quindi saranno in vigore per meno di sei mesi. Dopodiché o troveranno una nuova copertura finanziaria (magari stabile), oppure si tratterà di un lodevole e poco più che effimero esperimento. Se il punto fosse quello di vagliare la bontà o meno delle norme e poi stabilizzarle, non sarebbe affatto scandaloso, anzi un legislatore che prevede la possibilità di verificare le norme è certamente un legislatore saggio. Un Governo, però, che a fronte di prese di posizioni forti in tanti aspetti riguardanti il lavoro (e non solo) si scopre improvvisamente timido - e un po’ tirchio - sui provvedimenti inerenti la conciliazione lascia l’amaro in bocca.
Detto della beffa dei quasi sei mesi, non si può non guardare in maniera positiva i primi passi verso una più compiuta conciliazione tra la vita e il lavoro e forse sarebbe il caso di valorizzare la strada della contrattazione aziendale. Le questioni della conciliazione, che mettono insieme aspetti apparentemente inconciliabili tra loro, non possono essere risolte dal Governo e neppure dalle sole istituzioni locali, ma hanno bisogno dell’impegno e dello sforzo delle parti in causa: lavoratori e datori di lavoro, innanzitutto, ma anche di tutto quel tessuto di relazioni che è l’associazionismo. Infatti, la conciliazione è il primo banco di prova di un nuovo sistema di welfare capace di coinvolgere più soggetti, che nasce dall’iniziativa delle persone e delle reti sociali, che sia sussidiario. Quindi ben vengano tutti i provvedimenti in favore della conciliazione tra la vita e il lavoro, ma che non siano dei semplici spot, che siano, invece, l’inizio di un nuovo modo di intendere il lavoro.
Giovanni GUT