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18/11/2025
L'euroscetticismo
Un recente articolo pubblicato a più mani sul blog Voxeu.org (*), e ricavato da una ricerca più ampia edita come ‘Discussion Paper’ del CEPR, analizza gli effetti economici dell’ascesa dell’euroscetticismo nel vecchio continente

Un recente articolo pubblicato a più mani sul blog Voxeu.org (*), e ricavato da una ricerca più ampia edita come ‘Discussion Paper’ del CEPR, analizza gli effetti economici dell’ascesa dell’euroscetticismo nel vecchio continente tra il 2004 e il 2023: basandosi su dati provenienti da 1.166 regioni dell’Unione Europea (UE). La tesi centrale è che l’euroscetticismo non solo nasce dal malessere economico, ma lo peggiora, creando un circolo vizioso di stagnazione e aumento del consenso anti-Unione Europea. L’ascesa dello scetticismo nei confronti dell’UE è stata progressiva. In meno di vent’anni i partiti euroscettici sono passati dall'essere marginali (con circa il 4% dei voti) fino a raccogliere un terzo dell’elettorato europeo (in alcune aree si è arrivati persino ad oltre il 50%). La loro promessa chiave è che il solo riacquisto della sovranità porterebbe ad nuova prosperità. Ma i dati economici più significativi raccontano altro. Lo studio mostra che le regioni più euroscettiche registrano prestazioni economiche nettamente inferiori, anche quando tali partiti non governano. Il Prodotto interno lordo (Pil) pro-capite: −0,35 punti percentuali di crescita annua per ogni +10 punti di voto euroscettico (4–5% in meno dopo 12 anni); la Produttività: crescita più lenta di 0,10–0,14 punti percentuali annui; l’Occupazione: −0,25 punti percentuali annui (circa 3% in meno in un decennio); la Demografia: minore capacità di attrarre o trattenere residenti con la natalità che tende a diminuire. Durante il periodo esaminato la crisi dell’euro è stato un amplificatore dei movimenti delle variabili economiche. Dopo la crisi del 2012–2013, difatti, la ‘penalità’ economica dell’euroscetticismo raddoppia: entro il 2023 alcune regioni mostrano una riduzione cumulata vicino al 5,5% del Pil. Le possibili cause vanno ricercate nella minore capacità o volontà di usare i fondi dell’UE; nei minori investimenti privati a causa dell’incertezza politica; e nella riduzione della coesione sociale e della fiducia nelle istituzioni. Questo è avvenuto anche senza che i Governi euroscettici fossero in carica. La sola presenza di molti elettori anti-UE in effetti genera incertezza, scoraggiando investimenti e coinvolgimento nei programmi europei. È un effetto simile a quello osservato nel Regno Unito prima della Brexit: la sola incertezza danneggia l’economia prima ancora che le politiche mutino. Si genera un circolo vizioso: Stagnazione → voto euroscettico → ulteriore stagnazione. Le regioni economicamente fragili che votano contro l’UE insomma finiscono per peggiorare la propria situazione, alimentando nuovo malcontento. Come si esce da questa spirale negativa? Non colpevolizzando gli elettori, ma affrontando le loro preoccupazioni e nel contempo rafforzando le istituzioni locali (con trasparenza, e capacità amministrativa), generando investimenti mirati in capitale umano, innovazione, accesso al credito, e sviluppo regionale. In altre parole bisogna rendere il più possibile visibile il valore aggiunto che genera nelle aree periferiche del vecchio continente l’appartenenza all’UE. Tirando le fila del ragionamento. L’euroscetticismo ha un costo economico reale: riduce la crescita, la produttività e l’occupazione proprio nelle regioni che lo sostengono. Per evitarne gli effetti permanenti, l’UE deve ricostruire la fiducia e offrire politiche di sviluppo più efficaci ed inclusive. Il rischio, altrimenti, è una progressiva frammentazione del progetto europeo. Lo studio di Andrés Rodríguez-Pose, Lewis Dijkstra e Chiara Dorati, che abbiamo provato a sintetizzare, rappresenta una delle analisi più ambiziose sul rapporto tra sentimenti politici e performance economica regionale nell’UE. Le conclusioni, secondo cui l’euroscetticismo non è solo una conseguenza del malessere economico, ma un suo moltiplicatore, sono solide e provocatorie. Tuttavia, meritano di essere valutate con attenzione critica. In un articolo successivo cercheremo di farlo analizzando quali sono i punti di forza, i limiti e le implicazioni dello studio del CEPR.

 

(*) Andrés Rodríguez-Pose, Lewis Dijkstra e Chiara Dorati – Paying for Euroscepticism, CEPR.

 

 

 

 




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