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11/11/2025
Il dibattito sulla tassazione: limiti e prospettive
Le discussioni in Italia sulle misure di politica economica adottate dai Governi in carica non riescono mai ad affrancarsi da una visione statica dell’economia.

Le discussioni in Italia sulle misure di politica economica adottate dai Governi in carica non riescono mai ad affrancarsi da una visione statica dell’economia. Nella quale le dimensioni della ‘torta’, di fantomatici ‘tesoretti’ negli anni passati (le entrate fiscali, la spesa pubblica …) sono fisse e i cittadini sono soggetti passivi che per ritorni elettorali vengono più o meno ricompensati con riduzioni delle tasse e/o con trasferimenti.  Com’è noto la legge di bilancio che è in discussione ogni anno di questi tempi in Italia ridisegna le entrate e le uscite. Questa volta alla legge di bilancio è stato assegnato un obiettivo distributivo. La riduzione dell’aliquota (fiscale) marginale dal 35% al 33% per i redditi compresi tra 28000 e 50000 euro annui (prevista dal recente disegno di legge di bilancio) in effetti è stata spacciata come un provvedimento a favore della ‘classe media’ (ipoteticamente i percettori di redditi compresi appunto nello scaglione tra i 28000 ed i 50000 euro). In realtà, come in molti hanno notato, il provvedimento fiscale premia di più (almeno in valore assoluto) i percettori di redditi più elevati. Cosa del resto ovvia in un sistema a scaglioni. L’impressione è che una preoccupante mancanza di visione e di idee spinga a trattare questi modesti interventi sulle aliquote e gli scaglioni IRPEF come se fossero l’unico strumento redistributivo. Quello che andrebbe fatto è lo spostamento della politica fiscale dal criterio distributivo a quello di efficienza. L’imposta sul reddito dovrebbe mirare soprattutto all’efficienza, cioè a prelevare le risorse necessarie nel modo meno distorsivo possibile e, idealmente, incentivando la produzione di nuova ricchezza. In altre parole, la politica fiscale dovrebbe chiedersi come far ‘crescere la torta’, non solo come dividerla. A questa domanda cerca di rispondere la teoria della tassazione ottima, che si fonda su tre concetti chiave: I) il reddito lordo che viene prodotto dal cittadino grazie al suo impegno (lavoro, investimenti, ecc.); II) il reddito netto: ovvero ciò che resta dopo la tassazione; e III) l’elasticità del reddito lordo: ovvero la misura di quanto il reddito (e quindi l’impegno del lavoratore-contribuente) varia al variare dell’aliquota marginale. Un’aliquota più elevata riduce l’incentivo a impegnarsi nel produrre più reddito: quanto più elevata è l’elasticità, tanto più l’aliquota ottimale dovrebbe essere bassa. Quali sono i fattori che determinano l’aliquota ottimale? Quest’ultima dipende da tre elementi: 1) più è elevata l’elasticità del reddito, più l’aliquota fiscale dovrebbe essere bassa; 2) bisognerebbe bilanciare il gettito fiscale ed i disincentivi al lavoro che genera; 3) quanto peso si vorrebbe assegnare all’equità rispetto all’efficienza. Le evidenze mostrano che il profilo ottimale delle aliquote tende ad assomigliare a una ‘flat tax’, cioè un’aliquota marginale quasi costante. Nel caso si scegliesse di preferire di più l’equità bisognerebbe adottare aliquote più progressive. L’introduzione di una ‘flat tax’, eventualmente combinata con un reddito di base universale (un reddito minimo garantito) o un’imposta negativa sui redditi bassi, potrebbe conciliare semplicità amministrativa, trasparenza e un certo grado di progressività. Questa soluzione è supportata da diverse analisi economiche recenti e da proposte di riforma dell’Istituto Bruno Leoni. Insomma un sistema fiscale più semplice e trasparente – come la flat tax o, meglio ancora, una tassa sui consumi – ridurrebbe i costi amministrativi e i margini di evasione, oltre a limitare la manipolazione politica del consenso. La progressività, se desiderata, potrebbe essere ottenuta differenziando le aliquote sui diversi beni di consumo.

 

 




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