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29/05/2025
USA e UE a confronto
Di seguito la cronistoria dei dazi statunitensi sull'UE. Il 02 aprile si parlava del 20%. Il 09 aprile, invece, 10% durante una pausa di novanta giorni.

Di seguito la cronistoria dei dazi statunitensi sull'UE. Il 02 aprile si parlava del 20%. Il 09 aprile, invece, 10% durante una pausa di novanta giorni. A maggio il giorno 23 (dopo 44 di pausa): 50% dal 1° giugno. Mentre due giorni dopo (25 maggio), ritorno al 10% col ripristino della pausa originale. Pertanto fino a nuovo ordine il 09 luglio finirà la pausa di 90 giorni. Finora c’era stata una sorta di pace doganale. Negli ultimi decenni appunto i dazi sono stati per lo più bassi e stabili. Ma vediamo meglio. L’Unione Europea (UE) e gli Stati Uniti (USA) hanno entrambi imposto dazi doganali significativi su alcuni prodotti. Ma fino a quando il Presidente Donald Trump non si è scatenato con le sue giravolte, i dazi medi erano meno del 2% in entrambe le direzioni. Trump ed i suoi consiglieri si lamentano dell’IVA europea, ed è vero che i produttori statunitensi devono pagare, ad esempio, il 19% ai consumatori tedeschi. Ma lo stesso vale per i produttori teutonici. L’IVA è un’imposta sulle vendite e non una barriera alle importazioni. Trump va su tutte le furie per il surplus commerciale europeo con gli USA ma gli squilibri bilaterali sono nella norma e pacifici. Ognuno di noi ha dei deficit ad esempio nei confronti del supermercato abituale nel quale si acquistano i beni di prima necessità. Ma questo non significa che i proprietari delle rivendite debbano sentirsi in obbligo con coloro che hanno un deficit negli scambi nei loro confronti. Pertanto gli USA non hanno legittimi motivi di rimostranza nei confronti dell’UE e non hanno nemmeno ‘le carte in mano’ come crede Trump. Considerato che gli USA acquistano solo il 3% della produzione europea. Nessun timore da parte dell’Europa nei confronti delle minacce di Trump. Questo perché secondo quasi tutte le stime a disposizione gli effetti negativi della guerra commerciale USA-UE sul Pil degli USA (1,5 %) sono il doppio di quelli dell'UE (0,78 %). L'UE è quindi in una posizione di forza e non dovrebbe lasciarsi intimidire. Mentre l’UE è in ritardo rispetto all’innovazione tecnologica, che potrebbe accelerare con la messa a terra del Piano Draghi, l’economia americana in seguito alle trovate di genio di Trump si trova in un momento di fragilità: col mercato obbligazionario sotto esame da parte degli investitori internazionali e il dollaro condizionato dai flussi finanziari internazionali. L'aumento dei rendimenti a lungo termine dei Titoli del Tesoro sconta le giustificate preoccupazioni per l'aumento dei deficit di bilancio, appena approvato dal Congresso, e del debito pubblico americano. Il contemporaneo continuo deprezzamento del dollaro deriva da una fuga deirisparmiatori dalle attività finanziarie denominate in dollari. La politica economica ondivaga di Trump ha seminato incertezza ed alimentato una pericolosa instabilità. Le probabilità di un ‘sudden stop’ (arresto improvviso) crescono col passare dei giorni. Questo perché gli USA finanziano i deficit gemelli (di bilancio e della bilancia dei pagamenti) con cospicui afflussi di capitali che necessitano di un elevato e crescente debito estero. La passività netta sull’estero degli USA equivale al 90% del Pil. Un deflusso dei capitali porterebbe dritto ad un ‘sudden stop’. Contrariamente ai Paesi emergenti, che hanno sofferto e soffrono di deflussi dei capitali, gli USA hanno il vantaggio che il debito estero è prevalentementedenominato in dollari, la valuta di riserva di eccellenza (almeno finora) e questo costituisce un argine al deflusso. Ma non bisogna dimenticare un ammonimento di un grande economista internazionale scomparso più di venti anni fa. Sto parlando di Rudiger Dornbusch. “Le crisi ci mettono più tempo ad arrivare di quanto pensavate e poisi svolgono più in fretta di quanto avreste pensato”.




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