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22/05/2023
Per una pace giusta
La Santa Sede continua a fare il proprio compito.

Al Consiglio d’Europa riunitosi il 17 maggio a Reykjavik per istituire il “registro dei danni” causati dall’aggressione della Russia all’Ucraina, aveva preso la parola il Segretario di Stato Cardinale Pietro Parolin. “Non possiamo accettare passivamente che una guerra di aggressione continui. Dobbiamo tenere a mente che il popolo ucraino soffre” e intraprendere “iniziative per creare una pace giusta per l’Ucraina”. E, per essere ancor più esplicito aveva aggiunto: ”La Santa Sede continuerà a fare il proprio compito”. Non c’è forzatura interpretativa nel definire questa presa di posizione dell’alto prelato davanti ai governi europei, come una risposta alle affermazioni di Zelensky nel corso della sua visita del 13 maggio a Roma e la conferma della volontà di continuare l’azione diplomatica. Il premier ucraino aveva raccontato alla trasmissione Porta a Porta di avere chiarito al Papa, che gli aveva regalato la scultura di un ramo di ulivo, che l’Ucraina non aveva “bisogno di mediatori”. Un atteggiamento assai ruvido, espresso nel corso di una udienza durata meno di tre quarti d’ora, frutto di una inadeguata e ingiusta valutazione della generosa e infaticabile attività di Francesco. La ulteriore e concreta dimostrazione della volontà di andare avanti non si è fatta attendere. Essa è giunta, in via ufficiale, sabato 20, con una dichiarazione del portavoce del Vaticano Matteo Bruni con la quale è stato reso noto l’affidamento “al cardinale Matteo Zuppi, Arcivescovo di Bologna e Presidente della Cei, dell’incarico di condurre una missione, in accordo con la Segreteria di Stato”, per contribuire ad “allentare le tensioni nel conflitto in Ucraina e nell’auspicio che da tale attività si possano avviare percorsi di pace”. Una scelta particolarmente significativa che mette in campo una personalità ricca di esperienza di mediazioni svolta con la Comunità di Sant’Egidio in ambiti difficili: dal Mozambico al Guatemala, in Burundi e nella stessa Ucraina ove la comunità è già impegnata per gli aiuti umanitari, oltre che per i rapporti col Patriarcato di Mosca. Non c’è stato quindi, da parte della Santa Sede, nessun passo indietro rispetto alle iniziative intraprese e anticipate dal Papa a Budapest (“E’ in corso una missione, ma ancora non è pubblica”) e con la conferma del “ministro degli esteri vaticano” il 10 maggio che essa aveva avuto un seguito (“sulla missione di pace della Santa Sede, per mediare tra Russia e Ucraina, ci sono novità riservate”), nonostante i tentativi di smentita da parte di Kiev.

In tutti questi passaggi, resta evidente l’obbiettivo, da parte di Kiev, di limitare l’intervento del Pontefice e della diplomazia della Santa Sede ai cosiddetti aspetti umanitari, evidenziato da quella che Gian Guido Vecchi sul Corriere della Sera ha definito “l’insofferenza che in questi mesi ha accompagnato in Ucraina i tentativi di Francesco di costruire ponti “. Questo rifiuto aprioristico appare come la conseguenza della emersione della logica militare e del suo esito, non solo come unica strada da percorrere nella vicenda ucraina, ma come paradigma delle nuove relazioni internazionali. Le immagini delle distruzioni, le vittime civili e dei militari (peraltro volutamente non quantificate), la stessa “macelleria” di Bakhmut, vengono evidenziate per giustificare l’invio di sempre maggiori e più sofisticati sistemi d’arma, magari per sostenere controffensive mai risolutive, mentre gli appelli per le stesse vittime e catastrofi, soprattutto da parte di coloro che non hanno alcun interesse politico all’esito del conflitto, come quelli del Papa, vengono contrastati con interpretazioni fuorvianti, al limite della “connivenza col nemico”, cioè con Putin. Niente di più sbagliato. Le iniziative di Francesco, mosse dall’angoscia per quanto sta accadendo in termini di distruzioni materiali e di vite umane, vanno ad occupare uno spazio volutamente abbandonato, quello, cioè, della diplomazia. Esse hanno quindi pieno titolo e non possono essere relegate ai soli aspetti di carattere caritativo. Il Cardinale Parolin a Reykjavik, infatti, nel confermare l’intenzione di continuare nelle iniziative per la pace, ha anche espresso una linea che si potrebbe definire di geopolitica. “Purtroppo la guerra in Ucraina - ha precisato - ci dimostra che la ricerca appassionata di una politica di comunità e il rafforzamento delle politiche multilaterali sembrano ormai memorie del passato, sembra di assistere al tramonto del sogno di pace”. Si può cogliere in queste espressioni piene di rammarico la preoccupazione per una evoluzione del quadro internazionale che intende impedire uno sviluppo multilaterale che comporti un equilibrio di diplomazie.

In questo sviluppo, non ci sono dubbi, vi è anche la responsabilità della politica europea per una assenza mostratasi anche nel non aver corrisposto all’invito di Angel Merkel, quando, nel maggio del 2017, chiese all’Europa di iniziare a “prendere in mano il proprio destino”. La progressiva cancellazione del ruolo politico dell’Europa o, comunque, il non riuscito tentativo di affermarlo in una visione unitaria, ha lasciato ancora più spazio alle politiche di potenza. Purtroppo l’unipolarismo nordamericano degli anni ’80 e ’90 e del primo ventennio del nuovo millennio è stato messo in crisi dal sorgere della potenza della Cina e dall’emergere di sviluppi caotici nel Medio Oriente e in Asia. Anche l’Europa ne è coinvolta. In buona sostanza, la crescita dei conflitti e della politica di potenza, pongono in secondo piano il ruolo della diplomazia e, di conseguenza, allontanano il sogno della pace. Tutto ciò porta a emarginare ogni tentativo di avviare un decorso che stemperi i conflitti in atto. Il noto politologo Lucio Caracciolo nel suo ultimo libro ha così sintetizzato: “La pace è finita”. Anche da questo orizzonte delle relazioni internazionali derivano le resistenze al tentativo di camminare su di un sentiero per la pace a cui Francesco si è dedicato sin dall’inizio del conflitto in Ucraina e, particolarmente, in questi ultimi mesi. La concreta conferma dell’impegno vaticano a voler continuare a svolgere il “proprio compito” con l’incarico al Cardinale Zuppi, al quale vanno tutti gli auspici di riuscita, conforta l’azione di quelle associazioni di cattolici, come il Movimento Cristiano Lavoratori e il Movimento dei Focolari che, proprio in questi giorni, sostenendo l’opera meritoria della Santa Sede, stanno promuovendo iniziative per suggerire la necessità di giungere al più presto ad un “cessate il fuoco”, per iniziare “subito” a costruire la giusta pace.

Pietro Giubilo




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