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16/01/2023
La riforma delle regole fiscali
L’Europa dovrebbe adottare un principio tanto semplice quanto basilare: la crescita di lungo periodo dipende dalla produttività, che a sua volta dipende dagli investimenti.

La riforma delle regole fiscali in Europa per avere successo necessita della realizzazione di due obiettivi difficili da raggiungere insieme. Da un lato bisogna mantenere i criteri fiscali accentrati a livello europeo, al fine di assicurare la sostenibilità dei debiti pubblici nazionali anche col cambiamento di segno in atto della politica monetaria. Mentre dall’altro si deve consentire ai paesi con debito pubblico elevato (quelli cicala) un adeguamento ai nuovi criteri fiscali accentrati mediante correzioni dei propri bilanci che siano compatibili con un’adeguata crescita del Pil. Detto in altro modo le regole fiscali accentrate sono indispensabili per garantire la sostenibilità dell’euro ma nel contempo non devono contemplare una riduzione del disavanzo di bilancio rispetto al Pil conseguita in tempi ravvicinati, visto che si potrebbe mettere a rischio la crescita economica: finendo per aggravare il problema del debito pubblico invece che contribuire a risolverlo. L’obiettivo sarebbe, insomma, quello di individuare un nuovo set di regole fiscali accentrate dell’Unione Europea che offrano un buon compromesso fra il rigore finanziario, richiesto dalla stabilità di lungo periodo dell’Eurozona e l’adattabilità alle peculiarità nazionali. Ci sono varie proposte sul tavolo. Le esamineremo in seguito. Quello che ci preme ricordare ora è che il vero vincolo di bilancio non dipende tanto dalle regole fiscali che verranno modificate ma dai mercati finanziari nei quali vengono negoziati i titoli del debito pubblico. Ed è proprio su questo terreno che l’Italia si gioca la sua sostenibilità finanziaria. Com’è noto la dinamica del debito pubblico è condizionata da tre fattori: i) la crescita strutturale del Pil che, anche grazie ai fondi del PNRR ed alle riforme necessarie per ottenerli, si spera che si rafforzi; ii) il servizio del debito pubblico (il pagamento degli interessi sullo stock in circolazione) e iii) l’inflazione che dovrebbe arrestare la sua crescita e convergere verso l’obiettivo fissato dalla Banca Centrale Europea (BCE).

In questo contesto l’Italia dovrà concentrarsi sul terreno delle riforme e ritrovare la via della crescita da lustri smarrita, e non immolarsi all’altare delle nuove regole fiscali che verranno adottate. La Commissione Europea (CE) nella proposta di riforma parte da tre presupposti condivisibili, a cui però fa seguire delle ricette che non convincono fino in fondo. Iniziamo dai presupposti. Le regole dovranno essere semplici e favorire la condivisione, ovvero, far sì che gli Stati le sentano proprie. I bilanci pubblici dovranno essere orientati al medio termine. Riguardo alla semplicità però non ci siamo affatto. La correzione ciclica degli obiettivi fiscali attraverso il vuoto di Pil (la differenza tra il Pil potenziale e quello effettivo) che in passato ha generato contrasti tra i paesi dell’Eurozona, infatti, viene sostituita con l’analisi della sostenibilità fiscale a medio lungo termine ottenuta con tecniche statistico-econometriche non meno complesse e opinabili. In secondo luogo, le soglie di deficit e debito pubblico resterebbero invariate. Mentre il sentiero di aggiustamento verso l’obiettivo di medio termine verrebbe concordato da ogni singolo Stato e, cosa più importante, la “variabile di controllo” (lo strumento che ne garantirebbe la realizzazione) viene identificata con la spesa pubblica al netto di quella degli interessi, di componenti una tantum e di una non ben esplicitata componente ciclica della spesa per la disoccupazione. L’impressione a prima vista è che i tecnicismi non siano da meno rispetto al passato. La condivisione. Secondo la CE, la condivisione verrebbe raggiunta col fatto che i piani verrebbero presentati dagli stessi Stati, e non imposti dall’alto.

Tuttavia la procedura risulta essere più cervellotica rispetto al passato. Gli obiettivi di deficit e debito verrebbero raggiunti controllando la spesa, e quindi non i deficit di bilancio ed i debiti pubblici direttamente come si è fatto finora. In questo modo però si propone di regolare non solo i saldi di bilancio ma anche la loro composizione fra spese e entrate. È un cambiamento sostanziale. E non solo. I piani fiscali, infatti, verrebbero presentati dagli Stati, ma seguendo le raccomandazioni della CE, e resi noti. In caso di disaccordo tra governi e CE, sarebbero le ‘raccomandazioni’ a contare. In merito alla regola di spesa. Quest’ultima mette incertezza nella procedura. Visto che non si comprende bene cosa garantisca che, a regime di spesa costante, uno Stato non aumenti il disavanzo di bilancio con una riduzione della tassazione non sostenibile. Oppure che cosa assicura che, essendo la spesa calcolata al netto degli interessi, in caso di aumento di quest’ultimi, le altre componenti del bilancio siano aggiustate per evitare una crescita insostenibile del debito. Tutto questo resta un mistero. Non solo, ma dalla regola della spesa così come concepita, anche la crescita del Pil potrebbe risultare compromessa. Via la diminuzione della spesa in conto capitale. Una regolamentazione eccessiva e poco trasparente, infatti, implica vincoli quantitativi eccessivamente stringenti. Condizionando la stessa valutazione della spesa pubblica corrente e di quella in conto capitale, e, cosa più importante, favorendo una politica fiscale pro-ciclica, con l’aggiustamento soprattutto sul lato degli investimenti. Quando si tratta di diminuzione della spesa, infatti, gli investimenti sono sempre i primi ad essere sacrificati. Nell’ultimo ventennio nell’Eurozona si è avuta una loro significativa riduzione. In diversi casi è avvenuta fino a dimezzarsi in termini lordi, tanto da incidere sull'investimento netto e quindi sullo stock di capitale, mancando non solo di rafforzare, ma persino di sostituire le infrastrutture obsolete. L’Europa, a nostro avviso, dovrebbe adottare un principio tanto semplice quanto basilare: la crescita di lungo periodo dipende dalla produttività, che a sua volta dipende dagli investimenti. Se questo principio mancherà di affermarsi, l’Europa politica sarà sempre più lontana, per limiti d’ordine economico e per carenza di risorse da utilizzare per centralizzare le politiche di bilancio.

Marco Boleo




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