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07/10/2021
Educare ad educare, è questa la nostra sfida
Far superare la sindrome di Calimero per trasformare la società

Tutti (o quasi) conosciamo Calimero, il pulcino nato per ultimo dalla schiusa di una chiocciolata monocolore, ma solo lui è nero, pertanto viene allontanato dagli altri pulcini perché piccolo e diverso. Essendo un personaggio creato dalla pubblicità per una famosa casa di detersivi, una voce di donna lo rincuora dicendogli che non era nero, ma solo sporco. Mentre Calimero se ne sta a lamentare della propria condizione, chiuso in sé stesso, appare una mano che lo mette in lavatrice e il pulcino ne esce bianco e finalmente carico di nuova vitalità, pronto ad affrontare i fratelli pulcini “normali”. Uscendo dalla metafora pubblicitaria e, passando dai pulcini agli esseri umani, ci ritroviamo in una società che è colpita dalla sindrome di Calimero, sia negli adulti, sia nei giovani, cioè la convinzione che siano gli altri a dover essere educati, mentre ognuno è capace di educare sé stesso, col risultato che tutti restiamo chiusi nel nostro mondo. Una canzone molto in voga tra le nuove generazioni, “Stay Away”, è sintomatica dei tanti messaggi di cui siamo bombardati, anche inconsapevolmente, ma che inquinano la mente di molti; ne riporto alcune parti: “Abbiamo incominciato in mezzo ai banchi di scuola, avevamo un’arma per uccidere la noia (…); In classe ero quello strano, stavo sempre seduto all’ultimo banco, sognando dopo una notte in bianco. / Abbiamo iniziato in mezzo ai banchi di scuola, anche se in verità non andavo mai a scuola. Ho fatto tardi, allora salto la prima ora, in seconda ora gli occhi rossi fatti di erba buona. / Ho superato il limite di assenze, adesso la preside chi la sente? / Non mi piacciono le istituzioni. Quindi fanculo lo Stato, le guardie e il Presidente, sto bene in zona mia con la mia gente”.

Come ben sappiamo la parola educare deriva dal latino “edùco”, che significa “tolgo fuori”; più volte ho avuto modo di affermare che una persona non è un sacco vuoto, ma un individuo ricco di esperienze che iniziano in famiglia, sono filtrate attraverso la scuola, terminano in quella zona rossa che è il vissuto quotidiano e personale, intimo. La prima cosa necessaria, volendo educare, è quella di immergerci in quel vissuto e saper togliere quella parte limpida dell’uomo, sapendola distinguere da quei bombardamenti di cui sopra. E’ una difficile fase di ri-educazione e la faccenda diventa molto delicata; spesso noi abbiamo degli stereotipi, di quelli che Frabboni chiama del “bravo ometto”, che inevitabilmente si trasforma in costrizione inutile e sdoppiata. Tale esperienza l’abbiamo attraversata a partire dagli anni sessanta quando, i giovani studenti di allora, ribellandosi a una società ormai vetusta, vollero imporre una visione della società preconfezionata, con l’intento di educare gli altri e sé stessi e che ha portato allo strabismo degli anni settanta e ottanta del secolo appena trascorso; dopo gli anni novanta il nulla assoluto, idoli e ideologie caddero fragorosamente lasciando il vuoto per alcuni decenni. Cosa c’è, ora, in quello spazio? Non lo sappiamo, o forse si; c’è, sicuramente, una rincorsa alle più artificiose visioni socio-pedagogiche le quali, non nascendo dal vissuto personale, si applicano per prove ed errori, ma una nuova società non può nascere su tali basi.

E’ necessario, infatti mettere la testa dentro quel sacco, ma bisogna saperlo fare, oppure, come dice qualcuno, sapere di saperlo fare e, cioè, chi si incarica di questa avventura deve per primo essere educato, quindi deve aver saputo togliere e conoscere il bene che ha in sé per poterlo donare all’altro in maniera empatica, cioè capace di entrare in quel vissuto intimo dell’individuo discutendo all’animo e al cervello, senza ritenere che debba imporgli una “visione” diversa, ma offrire una “proposta”, proprio come faceva Gesù: “Se vuoi, vieni e seguimi”. Ecco, dunque, è necessario educare ad educare, chi ne sarebbe capace? Come sarà possibile afferrare il Calimero umano e dirgli: “guarda che sei solo sporco, ora ti infilo nella mia lavatrice per renderti pulito”. E’ possibile tutto ciò? Forse si, o forse no; bisogna iniziare una critica alle critiche del passato, sia quello remoto, sia quello recente e, probabilmente, comprenderemo la via da percorrere; questa è la grande sfida che ci attende nel prossimo futuro.

Alberto Fico




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