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18/01/2021
Anniversario 'Liberi e forti'
l'attualità degli ideali cristiani di Sturzo nel primo anno dopo il centenario dei liberi e forti (18 gennaio 1919)

Il tempo di un nuovo slancio dei corpi intermedi nel territorio per rifare il tessuto spirituale e sociale della realtà italiana - diventa l'obiettivo della nostra missione in un momento storico in cui è molto evidente l'aspetto dello smarrimento e di crisi.

Onorare l'«Appello ai Liberi e Forti» significa, oggi come allora, dare slancio a nuove e concrete esperienze di “sussidiarietà orizzontale”, in cui i soggetti sociali radicati e diffusi sul territorio si aggregano tra loro non per sostituirsi allo Stato, ma per ricucire le maglie di fiducia sociale ormai sfibrate, provando a occupare quegli spazi di dialogo e di sviluppo in cui lo Stato si mostra inadeguato. Serve, però, un supplemento di passione.

Le nostre società stanno perdendo la capacità di essere misericordiose e benevole. Nel tempo della crisi non può essere in crisi la responsabilità per il futuro dell'uomo. Così ancora ci esorta Francesco nella sua Enciclica sociale: «Occorre sentire nuovamente che abbiamo bisogno gli uni degli altri, che abbiamo una responsabilità verso gli altri e verso il mondo, che vale la pena di essere buoni e onesti. Già troppo a lungo siamo stati nel degrado morale, prendendoci gioco dell'etica, della bontà, della fede, dell'onestà, ed è arrivato il momento di riconoscere che questa allegra superficialità ci è servita a poco. Tale distruzione di ogni fondamento della vita sociale finisce col metterci l'uno contro l'altro per difendere i propri interessi, provoca il sorgere di nuove forme di violenza e crudeltà e impedisce lo sviluppo» (Laudato sì, 229). 

Ma la lezione Sturziana oggi vuol dire considerare le questioni politiche del presente senza mai perdere lo spirito e il metodo dell'appello cioè da una visione antistatalista che aiuterebbe a vedere il senso di una riforma in grado di favorire aggregazioni sempre più preparate alla sfida contro i moderni sovranismi e populismi.

«A loro quindi particolarmente spetta di illuminare e ordinare tutte le cose temporali, alle quali sono strettamente legati, in modo che siano fatte e crescano costantemente secondo il Cristo e siano di lode al Creatore e Redentore». (Lumen gentium, 31).

E’ la voce del Concilio che Sturzo non ha mai letto, nonostante sostenesse la necessità di un «partito non confessionale». Proprio quello stesso spirito «non confessionale» che portò Alcide De Gasperi alla ricerca di alleanze con liberali e riformisti e a raccogliere una misura di consenso cui nessun altro si sarebbe più avvicinato. Sapevano entrambi, da cattolici, ciò che è vero anche oggi e che spesso è stato ricordato da voci chiare e autorevoli: è all'apostolato dei laici che spetta di trattare delle cose del mondo, incluse quelle politiche. Siamo sempre più convinti che occorra intensificare un lavoro sul piano della “grammatica dell’umano” per convertirla in “grammatica sociale e quindi politica”, per realizzare una chiesa in uscita dove si sanno mettere in chiaro i principi della DSC: bene comune e sussidiarietà.

Nella sostanza, insomma, l’esperienza del cattolicesimo politico italiano e del suo partito è stata un'esperienza democratica: che peraltro si è trovata collocata storicamente in una posizione centrale per effetto della forte radicalizzazione ideologica delle due ali estreme che ha caratterizzato tradizionalmente lo schieramento politico italiano fin dall'indomani della Grande guerra. Collocazione al centro  rivelatasi decisiva sotto due aspetti importanti: per l'autorappresentazione del partito  stesso, per la sua immagine, e  perché proprio questo trovarsi schiacciato così a lungo tra due estremi radicali, per  giunta istituzionalmente delegittimati come i neofascisti e i comunisti, ha consentito, anzi  ha reso in un certo senso obbligata, la convivenza nel partito cattolico di posizioni che si volevano più o meno lontane dall'ispirazione di fondo democratico-liberale, contribuendo quindi a confonderne in parte l’apparenza. Tutto sommato quella ispirazione Sturziana potrebbe oggi diventare il germe buono del popolarismo.

Che fare allora? Dobbiamo pensare cose nuove. Bisogna abbandonare paradigmi nobili, ma consunti e pensare cose nuove, a partire dalle nuove provocazioni del sociale. Alcuni esempi. L'appello agli umani fondamentali e ai valori della "persona" ha ancora una sua presa, ma la lettura prevalente che oggi si dà dei diritti e della "persona" ha ormai un carattere individualistico, incompatibile con la visione solidaristica del Vangelo: contro questa lettura dobbiamo impegnarci tutti.

Si diffondono a macchia d'olio rivendicazioni di vario tipo, ma dovremo prendere atto che questo concetto si è frantumato e che non può più essere affrontato in modo univoco; dobbiamo misurarci con la dura realtà che ci pone di fronte a una molteplicità di diverse pratiche, che richiedono, per essere combattute, strategie del tutto nuove, molte delle quali ancora da elaborare. Dobbiamo pensare cose nuove, perché la realtà nella quale siamo immersi si rivela tragicamente "nuova". Dobbiamo elaborare nuovi paradigmi, ricorrendo alle energie delle tante diverse associazioni (movimenti, università, scuole, organizzazioni professionali, ecc.) che continuano a lavorare meritevolmente, ma spesso anche infruttuosamente, perché si rivelano incapaci di attivare efficaci reti di collegamento reciproco. Dobbiamo soprattutto avere il coraggio di rinunciare ai vecchi "no", che si sono rivelati assolutamente sterili, per sostituirli con nuove forme di "no", da ripensare con intelligenza e che appaiano inedite, lucide e soprattutto umanissime, secondo le indicazioni che quotidianamente ci provengono da papa Francesco.

Ci sono testi che si impongono per la loro novità, lasciando assaporare il gusto di parole e pensieri che portano con sé la freschezza della prima volta. Diverso è il registro della nuova enciclica di papa Francesco, Fratelli tutti, dedicata alla fratellanza e all'amicizia sociale, in cui riecheggiano temi centrali già disseminati lungo l’arco di tutto il suo pontificato. Ben organizzati in questo testo, essi vanno sicuramente a toccare i canoni dell’ordinamento neoliberale - con le sue incrollabili certezze e il dogmatismo che lo custodisce nella sua esclusività senza alternative. Anche adesso, quando l’umanità intera sta passando attraverso il crogiuolo della pandemia. Come nelle altre encicliche, infatti, il papa ci pone sempre a confronto con la Parola di Dio. Ed il brano da lui scelto è quello del Buon Samaritano, meditato nel secondo capitolo, della Fratelli Tutti. Attualissimo oggi, ma ancor più vivo, se letto con gli occhi di Sturzo con la sua cultura del tempo, con una fede intramontabile e alla luce delle sue riflessioni. E’ una parte che subito fa sfociare al nostro cuore la domanda: io da che parte sto? Con chi mi identifico? Una comunità con chi si configura? Con i briganti? Con i passanti? Con il samaritano? (§69). Pensiamo pure a quante volte il testo sarà stato commentato da Sturzo. Anche a quei tempi ci sono tanti modi di passare a distanza (§73), complementari tra loro: il ripiegarsi su di sé, il disprezzo dei poveri e della loro cultura, l’indifferenza religiosa del sacerdote e del levita… quindi non lontani dai nostri comportamenti. L’uomo ferito e abbandonato lungo la strada era un disturbo per questo progettò, un’interruzione del cammino, era un “nessuno”, non apparteneva a un gruppo degno di considerazione, non aveva alcun ruolo nella costruzione della storia. Nel frattempo, il samaritano generoso resisteva a queste chiusure, anche se lui stesso restava fuori da tutte queste categorie ed era semplicemente un estraneo senza un proprio posto nella società. Così, libero da ogni titolo e struttura, è stato capace di interrompere il suo viaggio, di cambiare i suoi programmi, di essere disponibile ad aprirsi alla sorpresa dell’uomo ferito che aveva bisogno di lui. (§101).

Come non vedere in questa lettura la descrizione di tante nostre realtà, allora come oggi declinate nella storia di tanti, dove la funzione prevale sulla persona; dove il ruolo domina; dove le cose da fare sono più preziose delle persone!  Invece, solo chi è povero, chi ha provato la marginalità ed è un estraneo comprende coloro che la stanno vivendo. Sturzo avrà senza dubbio apprezzato il Samaritano (un disprezzato) che si ferma e, lui solo, si mette in aiuto dell’altro! Decisiva sempre, per aiutare a pensare e generare un mondo aperto, è quella idea di star vicino, di farsi prossimo, ora è quella di guardare al di là, oltre le cose che si vedono il vero nesso del messaggio ai liberi e forti! Così si generava quell’amicizia sociale. Vincendo il razzismo e la mentalità xenofoba, accoglieremo i più fragili, consentiremo ai poveri una vita degna mediante il lavoro, “perché il lavoro è una dimensione irrinunciabile della vita sociale, modo di guadagnarsi il pane, per la crescita personale, per stabilire relazioni sane, per esprimere se stessi e per condividere doni, per sentirsi corresponsabili nel miglioramento del mondo; in definiva, per vivere come popolo!” (§162).

L’appello trova passaggi importanti con l’enciclica Fratelli tutti nel cap. V, “La migliore politica”, davanti a due modi errati - ci dice papa Francesco - di porsi di fronte alle sfide di questo momento. Da un lato, quello di chi cede alla tentazione di restare al di sopra della realtà con l’utopia; dall’altro, quello di chi si colloca al di sotto della realtà con la distopia, con la rassegnazione. Sturzo rivolgeva il suo appello agli uomini, non ai cattolici, agli uomini moralmente liberi, quasi un grido pronunciato subito dopo la fine della guerra al fine di evitare altre guerre, evidenza subito il progetto in embrione sull’Europa. Tutto questo ci richiama ad avviare un lavoro di comunità per ricomporre un'appassionata cultura politica che alimenti e rappresenti nuove energie per una partecipazione sociale responsabile e democratica. Con realismo, senza progetti ambiziosi, con tenacia, non lasciandosi scoraggiare dalle prevedibili difficoltà di percorso. Parliamo oggi di crisi della democrazia rappresentativa proprio perché - in Italia e altrove - non si avverte più in modo stringente la necessità di questo circolo virtuoso, dal basso verso l’alto.

Questo non significa ritornare al passato, ma ritrovarsi - come anche la figura di Sturzo suggerisce - con il progetto di ricostruire "dal basso" una rete condivisa che, nella necessità di riprendere un dialogo comunitario e solidale, si impegni ad affrontare le sfide ancora aperte di ieri così come quelle complesse e nuove di oggi.

Gilberto Minghetti




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