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23/10/2020
La revisione della strategia monetaria da parte della Fed
era ampiamente previsto che la mossa sarebbe stata espansiva e che la Fed si sarebbe astenuta dall'introdurre nuovi strumenti non convenzionali

La nuova strategia monetaria della Banca Centrale americana è stata illustrata dal Governatore Jerome Powell, nel suo intervento online all’apertura della conferenza annuale di Jackson Hole (fine agosto) ed ha ottenuto subito una "dichiarazione di consenso" da parte del Federal Open Market Committee (FOMC): organo deputato a fornire informazioni sugli obiettivi di lungo periodo della politica monetaria della Federal Reserve. Questi documenti hanno una loro importanza non solo perché aiutano a comprendere la futura politica monetaria degli Usa, ma anche perché possono costituire fonte di ispirazione per la Banca Centrale Europea BCE, che ha avviato da tempo un processo di revisione simile. Vale pertanto la pena di esaminarli in dettaglio.

In proposito va apprezzata innanzitutto la posizione scomoda assunta dalla Fed che si è sentita in dovere di agire per due ordini di ragioni: 1) il cambiamento nel funzionamento dell'economia statunitense che richiedeva aggiustamenti alla  sua strategia monetaria per continuare ad adempiere al suo duplice mandato di "piena occupazione" e "di stabilità dei prezzi"; 2) la sua riluttanza ad adottare nuovi strumenti, portando ad esempio i tassi di interesse in terreno negativo  come è stato fatto da altre banche centrali. Visto che una simile scelta avrebbe ridotto la gamma di opzioni disponibili. A peggiorare le cose, con l’elezione alla Presidenza degli Usa di Donald Trump, dal 2017 sono arrivate forti pressioni politiche per ottenere una posizione monetaria più espansiva: anche al costo di mettere a repentaglio l’autonomia della Fed. Una posizione più accomodante, infatti, in queste condizioni potrebbe, indipendentemente dalle buone argomentazioni che la sostengono, essere interpretata come una sottomissione al potere politico della Fed e comportare una perdita di reputazione.

Scrivevamo del cambiamento nel funzionamento dell’economia degli Usa. Nella sostanza due cambiamenti hanno innescato il processo di revisione. In primo luogo, l'eccezionale performance del mercato del lavoro negli anni che hanno preceduto il Covid-19 shock (con un tasso di disoccupazione ai minimi e con un aumento del tasso di occupazione) non ha portato ad un'inflazione più elevata, contrariamente a quanto suggerito dalla curva di Phillips (scambio tra meno disoccupazione e più inflazione e viceversa). In secondo luogo, i calcoli empirici indicano una diminuzione del valore del tasso di interesse ipotetico al quale l'economia raggiunge contemporaneamente la piena occupazione e la stabilità dell'inflazione. Nel frattempo poi, l'inflazione media è scesa al di sotto dell'obiettivo fissato dalla Fed al 2%, con un comportamento asimmetrico: scendendo al di sotto di quel livello nelle fasi di recessione economica ma non salendo al di sopra di esso nelle fasi di ripresa. La Fed pertanto si è preoccupata del fatto che, di conseguenza, le aspettative inflazionistiche potessero "disancorarsi" dal valore di riferimento: ovvero potessero scendere costantemente al di sotto del 2%, abbassando ulteriormente i tassi di interesse fino a raggiungere il "limite inferiore effettivo" (prossimo allo zero o negativo) raggiunto il quale gli strumenti monetari convenzionali diventano impotenti. Si sarebbe potuta verificare altresì una spirale deflazionistica che si sarebbe autoalimentata attraverso il comportamento dei consumatori che avrebbero ritardato gli acquisti in attesa di ulteriori riduzioni dei prezzi.

In una certa misura, erano attesi gli annunci del 27 agosto. Era ampiamente previsto, ad esempio, che la direzione della mossa sarebbe stata espansiva, ed è stato anche inteso che la Fed si sarebbe astenuta dall'introdurre nuovi strumenti non convenzionali. Un senso di “niente sotto il sole nuovo” potrebbe contribuire a spiegare perché la reazione immediata dei mercati finanziari è stata timida. Dopo una certa volatilità, infatti, i rendimenti a lungo termine e il tasso di cambio del dollaro si sono mossi poco; semmai, si sono mossi di fronte a ciò che implicherebbe un maggiore accomodamento monetario. Questo però importa poco o nulla. Le mosse politiche non dovrebbero essere giudicate in base alla reazione a breve termine dei mercati finanziari, contrariamente alla pratica diffusa tra gli operatori e gli analisti. Le decisioni politiche strategiche, come quella attuata dalla Fed, vengono digerite lentamente e producono un effetto diluito nel tempo. Le motivazioni ricordate sopra per la revisione della strategia monetaria da parte della Banca Centrale americana sollevano alcune problematiche di natura concettuale ma di queste per motivi di spazio ci occuperemo in un prossimo articolo.

Marco Boleo




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