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19/03/2019
In ricordo di Marco Biagi
L’accusa principale rivolta dai brigatisti al professore bolognese è il suo contributo all’elaborazione prima del “Patto per Milano”

Bologna, 19 marzo 2002: Marco Biagi, professore di diritto del lavoro e consulente del Ministero del Lavoro, sta rientrando da Modena dove ha tenuto lezione all’università. Dalla stazione ferroviaria con la sua bicicletta percorre le vie del centro di Bologna verso via Valdonica, dove vive con la moglie e i due figli. Ad aspettarlo davanti al portone di casa, però, due persone armate pronte a ucciderlo. Sono da poco passate le otto di sera. Cinque dei sei colpi di pistola esplosi raggiungono Marco Biagi, ferendolo a morte.

Mentre i soccorsi e le forze dell’ordine si precipitano sul posto, gli assassini si ritirano come pianificato, facendo perdere le loro tracce. Due giorni dopo, il 21 marzo, viene diffuso, via e-mail, un comunicato di rivendicazione:

«Il giorno 19 marzo 2002 a Bologna, un nucleo armato della nostra Organizzazione, ha giustiziato Marco Biagi[…]», firmato: Brigate Rosse per la costruzione del Partito Comunista Combattente.

Tutti i giornali ne parlano con titoli di circostanza, il presidente della repubblica Ciampi esprime l’orrore per la tragedia, come pure il ministro del Welfare Maroni.

Tutti sconvolti ancora dagli eventi dell’11 settembre e disorientata dal corso dei rivolgimenti epocali in atto, la società italiana avrebbe dovuto però fare presto i conti con un nuovo sanguinoso capitolo della vecchia strategia sovversiva della “stella a cinque punte”, rilanciata dalle Brigate Rosse

È infatti il processo di riforme del mercato del lavoro cui il professore contribuisce ad essere giudicato centrale dai brigatisti: l’avvio della privatizzazione del pubblico impiego, la nuova regolamentazione sul diritto di sciopero, l’introduzione del lavoro interinale e della flessibilità nei contratti di lavoro, per fare alcuni esempi, sono viste come misure essenzialmente antiproletarie, emanazione di una rinnovata iniziativa della “borghesia imperialista” per ridurre ulteriormente il welfare state e i diritti conquistati nelle lotte operaie degli anni Sessanta e Settanta. In questo panorama di “contro-rivoluzione”, un ruolo importante è rivestito, nell’ottica dei Ncc, dal mondo sindacale, accusato di essere compartecipe di tale strategia “antiproletaria” attraverso la sua partecipazione al meccanismo della concertazione.

La ricomparsa delle Br-Pcc, undici anni dopo l’omicidio Ruffilli, è quindi un fulmine a ciel sereno per le forze politiche e per la società civile, che inizialmente faticano a comprendere un tale ritorno della lotta armata, cui si lega il rimaterializzarsi di una minaccia che si credeva ormai relegata al tragico passato degli “anni di piombo”.

L’accusa principale rivolta dai brigatisti al professore bolognese è il suo contributo all’elaborazione prima del “Patto per Milano”, e quindi del “Libro bianco sul mercato del lavoro in Italia”, un documento redatto nel corso del 2001 da Biagi, dal sottosegretario del Ministero del Lavoro Sacconi e altri consulenti, in cui si esponevano le principali aree tematiche di intervento.

Agli occhi dei brigatisti è quindi colpevole di «aver avuto un ruolo attivo in una serie di indirizzi legislativi che […] avrebbero portato a nuove e più penalizzanti forme di precariato e sfruttamento dei lavoratori, congegnate in modo tale da distruggere l’identità operaia o lavoratrice e imbrigliare ogni tentativo di ribellione».

Sicuramente  le brigate Rosse che lo hanno freddato sono così potevano uccidere un uomo che significava uccidere le sue idee, ma le idee non si abbattono.

Spirito riformista si è sempre impegnato per migliorare l'occupabilità e per modernizzare il mercato del lavoro nel nostro paese. Marco del coraggio delle proprie era un uomo mite, pacato, colto, educato, ma soprattutto un grande fratello. Se  poteva portare avanti le proprie idee con grande determinazione anche se talvolta si trovava da solo perché nel nostro paese chiunque abbia idee riformiste deve affrontare ostacoli, mettendo seriamente a rischio la propria vita come è accaduto a Tarantelli, D'Antona, Ruffilli. Persone  come Biasi continuano a vivere nel tempo perché la sua attività il suo lavoro sono presenti nel cuore di tutti perché le idee rimangono e camminano. Marco Biagi muore nelle braccia dei soccorritori alle 20:15 del 19 marzo 2002.

Gilberto Minghetti

 




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