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04/07/2018
Europa e qualità della democrazia, due sfide decisive per il nuovo popolarismo
Bisogna distinguere correttamente tra popolarismo e populismo, intendersi sulla concezione di popolo, cui entrambi i filoni si richiamano per trovare la legittimità/legittimazione del loro incarnarsi politicamente

“Mantenere viva la realtà delle democrazie è una sfida di questo momento storico, evitando che la loro forza reale – forza politica espressiva dei popoli – sia rimossa davanti alla pressione di interessi multinazionali non universali, che le indeboliscano e le trasformino in sistemi uniformanti di potere finanziario al servizio di imperi sconosciuti. Questa è una sfida che oggi la storia vi pone”. Così papa Francesco si rivolgeva, nel novembre 2014, ai parlamentari europei. Un discorso - come altri, ahinoi! - molto applaudito quanto poco davvero compreso. La sfida che il Pontefice individuava come centrale, a quasi quattro anni da quando è stata espressa, non è venuta meno. Al contrario, si conferma urgente. In questo tempo, caratterizzato dalla solo apparente contrapposizione tra illusioni populiste e tentazioni tecnocratiche, davvero il “caso serio” è il “mantenere viva la realtà delle democrazie”. Una sfida, quella della difesa creativa della qualità della democrazia, che è la frontiera su cui deve mettersi in gioco il popolarismo europeo, se non vuole spegnersi, vittima della crisi in cui sembra dibattersi, almeno nelle sue componenti di matrice democratico-cristiane e moderate. Una crisi uguale e contraria a quella della socialdemocrazia continentale, sua alternativa nel sistema e (forse troppo automaticamente) suo alleato nel tentativo di non far prevalere la potenza disgregatrice delle forze anti-sistema.

La definizione e il livello morale di questa qualità della democrazia ci viene ancora dal Santo Padre. Nel terzo incontro con i Movimenti popolari (Roma, 5 novembre 2016) ha spiegato che “la democrazia si atrofizza, diventa un nominalismo, una formalità, perde rappresentatività, va disincarnandosi quando lascia fuori il popolo nella sua lotta quotidiana per la dignità, nella costruzione del suo destino”.

Bisogna, quindi, anche saper distinguere correttamente tra popolarismo e populismo, intendersi sulla concezione di popolo, cui entrambi i filoni si richiamano per trovare la legittimità/legittimazione del loro incarnarsi politicamente (in politica e politiche). Possiamo richiamare, in questa volontà di chiarimento, un passaggio di un recente articolo del professor Flavio Felice. Su “Avvenire” ha spiegato che “Il “popolo”, per Sturzo, esprime una forza sociale di controllo, in quanto esercita la funzione di limite mediante organismi procedurali istituzionali. Per questa ragione, il “popolo” in Sturzo è un concetto “plurarchico”, poiché il limite esercitato è di ordine giuridico, istituzionale e culturale. Radicando la categoria politica del “popolarismo” in tale nozione di “popolo”, è evidente che Sturzo individua il problema della politica nella ricerca dei limiti al potere, nella consapevolezza che non potrà mai esistere un “potere neutro”, perché se il potere non è limitato ed è assoluto è «assolutamente corrotto» (Acton)”.

La qualità della democrazia sta quindi nel suo saper essere sussidiaria, quindi capace di riconoscere il dinamismo (di libertà e liberante) delle esperienze popolari, dei corpi intermedi.

Lo spazio adeguato perché esso possa esprimersi è quello europeo. Un’Europa, come realtà culturale prima che istituzionale, che sempre il Papa ci aiuta a puntualizzare nel suo significato profondo e pro-positivo. Proprio nel già richiamato discorso, evidenzia che “Il motto dell’Unione Europea è Unità nella diversità, ma l’unità non significa uniformità politica, economica, culturale, o di pensiero. In realtà ogni autentica unità vive della ricchezza delle diversità che la compongono: come una famiglia, che è tanto più unita quanto più ciascuno dei suoi componenti può essere fino in fondo sé stesso senza timore. In tal senso, ritengo che l’Europa sia una famiglia di popoli, i quali potranno sentire vicine le istituzioni dell’Unione se esse sapranno sapientemente coniugare l’ideale dell’unità cui si anela alla diversità propria di ciascuno, valorizzando le singole tradizioni; prendendo coscienza della sua storia e delle sue radici; liberandosi dalle tante manipolazioni e dalle tante fobie. Mettere al centro la persona umana significa anzitutto lasciare che essa esprima liberamente il proprio volto e la propria creatività, sia a livello di singolo che di popolo”.

Il popolarismo, che si fa movimento e non mero agente del mantenimento dello status quo, è chiamato a farsi ricostruttore di unità nella diversità, difendendo la qualità della democrazia nel riconoscimento del dinamismo delle esperienze popolari. Una sfida. Da accogliere.

 Marco Margrita




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