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03/08/2017
Il Mezzogiorno torna a crescere
Ci sono ampi spazi per un fecondo e fattivo dibattito e per il conseguimento di una maggiore e piĆ¹ elevata consapevolezza sulle sorti del Mezzogiorno

Secondo il consueto rapporto annuale della Svimez, le cui anticipazioni sono state rese note nei giorni scorsi, si è consolidata la crescita nel Mezzogiorno del nostro paese nel 2016. Ma con questi ritmi di crescita si colmerà il vuoto di Pil generato dalla grande recessione solo nel 2028 esattamente dieci anni dopo il Centro-Nord. Nelle regioni del Sud il Pil è appunto cresciuto dell’1%, più che nel Centro-Nord, dove è stato pari a + 0,8%. Questo è stato il risultato di alcune condizioni particolari secondo i ricercatori della Svimez: “il recupero del settore manifatturiero, cresciuto cumulativamente di oltre il 7% nel biennio 2015-2016, e del +2,2% nel 2016, la ripresa del settore edile (+0,5% nel 2016) ed il positivo andamento dei servizi (+0,8% nel 2016)” e del turismo. Il motore della crescita è stato sia l’aumento dei consumi sia quello degli investimenti, in particolare privati che hanno più che compensato la concomitante riduzione di quelli pubblici. Le previsioni della Svimez per gli anni a venire sono che nell’anno corrente il Pil dovrebbe aumentare dell’1.1% al Sud e dell’1.4% nel Centro-Nord. Mentre nel 2018 ci dovrebbe essere un aumento della ricchezza prodotta dello 0.9% nel Mezzogiorno e dell’1.2% nel resto del paese. Il principale fattore della crescita nel Sud d’Italia nel 2017 dovrebbe essere ancora la domanda aggregata interna: i consumi totali dovrebbero crescere dell’1.2% (quelli delle famiglie 1.4%) e gli investimenti nel Mezzogiorno del + 2%. Con un recupero dell’occupazione del + 0.6%. Questa performance positiva è la risultante della media di Trilussa di regioni del Sud che hanno tirato la stanga della ripresa mentre altre che hanno tirato il freno del convoglio. Si sono avuti degli andamenti differenziati del Pil tra le regioni meridionali:  la migliore prestazione è quella della Campania con un +2,4%, che la colloca anche tra le regioni italiane più dinamiche, seguita dalla Basilicata (+2,1%). Per la prima volta nell’ultimo triennio il Pil della Sardegna torna in zona positiva. Rallentano la Puglia: + 0,7% e la Sicilia: +0,3%. Torna in zona negativa l’Abruzzo: - 0.2% dopo la buona performance registrata nel 2015: + 2.1% che aveva lasciato ben sperare per una significativa inversione di tendenza. Mentre la Calabria con un + 0,9% prova a rialzare la testa. I mali che il Mezzogiorno deve curare  per divenire una risorsa per l’Italia intera sono ben evidenziati nel Rapporto: i salari bassi e stagnanti, la bassa produttività condivisa col resto del paese: dove il prodotto per addetto ha sperimentato una diminuzione cumulata nel periodo 2008-2016 del - 6% nel Mezzogiorno e del - 4,6% nel resto del Paese. Parimenti alla scarsa competitività, alla ridotta accumulazione ed al minor benessere generale di quest’area. Dove si consolidano situazioni di povertà e disagio e dove non si arresta l’emorragia dell’emigrazione. I dati del disagio sociale sono allarmanti. Nel 2016, secondo i dati della Svimez, circa il 10% dei meridionali è in condizione di povertà assoluta, contro poco più del 6% nel Centro-Nord. L’incidenza della povertà assoluta nel Mezzogiorno è aumentata nelle periferie delle aree metropolitane ed, in misura meno marcata, nei comuni con meno di 50 mila abitanti. In quattro regioni meridionali il rischio di povertà è risultato il triplo rispetto al resto dell’Italia: Sicilia (39,9%), Campania (39,1%) e Calabria (33,5%). La povertà frena la ripresa dei consumi, e, in questo contesto, vi è stato un deterioramento delle capacità del welfare pubblico a riequilibrare “le crescenti diseguaglianze indotte dal mercato, in presenza di un welfare privato del tutto insufficiente al Sud”. Il Mezzogiorno che prima costituiva una risorsa demografica per il resto d’Italia non è più un area giovane: negli ultimi 15 anni, al netto degli stranieri, la popolazione meridionale è diminuita di 393 mila unità, mentre è aumentata di 274 mila nel Nord. Per contrastare questi fenomeni i ricercatori della Svimez propongono, in particolare: i) una strategia mirata a rivedere la Politica di coesione; ii) l’istituzione delle “Zone Economiche Speciali” (ZES) che può consentire l’attrazione di nuovi investimenti esterni; iii) un’accelerazione degli investimenti pubblici previsti dal Masterplan; iv) un sostegno alla nuova imprenditorialità giovanile ed il piano Industria 4.0. Questi interventi potranno contribuire al rafforzamento della crescita del Pil e dell’occupazione e ad un sostanziale miglioramento dell’economia reale del Mezzogiorno. Su questi argomenti si confrontino anche le proposte elaborate dal Servizio studi del Mcl in numerosi documenti che alla luce delle raccomandazioni contenute nel rapporto Svimez sono ancora attuali. Due su tutti: “Sviluppo possibile: Mezzogiorno e bene comune” che è stato presentato a Reggio Calabria dal Presidente Carlo Costalli nel maggio 2016; e “Cinque proposte concrete per andare oltre il dibattito” pubblicate su Avvenire, il 07 Agosto 2015. Ci sono pertanto ampi spazi per un fecondo e fattivo  dibattito e per il conseguimento di una maggiore e più elevata consapevolezza sulle sorti del Mezzogiorno. Serve un accelerazione dello sviluppo visto che ai ritmi di crescita attuali  il 2028 non può attendere.

Marco Boleo




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