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19/04/2017
Il Def di primavera, le ganasce fiscali e l'effetto palla di neve sul rapporto debito/Pil
a Bruxelles sono fissati sulla quadratura dei numeri che devono rispettare i parametri europei mentre i mercati sono concentrati sulla sostenibilità del nostro debito pubblico

Secondo le molte anime candide che alimentano il dibattito di politica economica in Italia la tanto attesa ripresa è stata danneggiata dalle politiche fiscali restrittive imposte da Bruxelles. Sarà vero! Proprio no. Negli ultimi anni, invero, la politica fiscale italiana è stata espansiva: a testimoniarlo l’analisi del OCSE sulla posizione fiscale (fiscal stance) dell’Italia. Malgrado ciò tuttavia la crescita resta debole rispetto a quella degli altri paesi europei: visto che siamo agganciati al vagone di coda del treno dell’eurozona. Questo perché la flessibilità concessaci dall’UE è stata utilizzata male non solo per quello che concerne il risultato in termini di crescita del Pil ma anche in termini di credibilità del Paese: avevamo richiesto la flessibilità per fare investimenti (la c.d. golden rule) e invece è stata aumentata la spesa corrente. La diffusione del Def (Documento di economia e finanza) di primavera da parte del MEF (Ministero dell’Economia e delle Finanze), avvenuta martedì scorso, ci consente di fare il punto sul programma di stabilità dell’Italia, sull’analisi e sulle tendenze della finanza pubblica e sul programma nazionale delle riforme, partendo dal punto di osservazione del Governo italiano.

Nel corposo documento, costituito da tre volumi e da più di 500 pagine allegati esclusi, compare quest’anno per la prima volta un accluso con gli indicatori di benessere equo e sostenibile (BES) perché previsti dalla nuova legge di bilancio. Una innovazione ricca di significati: l’idea che il benessere non si misuri solo con gli indicatori macroeconomici, in primis il Pil, è un fatto positivo. Calcolare però un BES governativo con solo quattro indicatori: reddito, lavoro, diseguaglianze ed emissioni di CO2, quando l’ISTAT lo fa con 130, è sicuramente meglio che niente ma serve a ben poco. Ad essere maligni potremmo dire che nello specifico i quattro indicatori sono stati scelti artatamente per contribuire ad incensare l’operato del governo. Ma di questo ci occuperemo in un prossimo articolo. Torniamo pertanto ai numeri ed alle intenzioni del Governo illustrate nel Def visto che quello che conta è come verrà accolto dalla Commissione Europea e dai mercati. Com’è noto a Bruxelles sono fissati sull’aritmetica che deve rispettare i parametri europei mentre i mercati sono più concentrati sulla sostenibilità del nostro debito pubblico. Sotto la lente di ingrandimento finiscono pertanto gli obiettivi di deficit e di debito pubblico allo scopo di valutarne la veridicità. Nei prossimi giorni sono attesi i dettagli delle misure, tutte strutturali almeno nelle intenzioni, della manovra correttiva dei conti pubblici da 3.4 miliardi di euro richiesta da Bruxelles e finora rinviata col consenso dell’UE.

Niente sotto il sole di nuovo. Malgrado l’introduzione del BES, infatti, il DEF 2017 si pone in continuità con le politiche seguite dai Governi Letta e Renzi: qualche sgravio fiscale, il rinvio della riduzione delle tasse, qualche risorsa per il welfare ed un mucchio di privatizzazioni. Negli obiettivi del governo Gentiloni, contenuti nel Def di primavera, vi è la promessa solenne alla Commissione ed ai mercati di una graduale riduzione verso lo zero del deficit pubblico negli anni a venire e di stabilizzazione e di progressiva ridiscesa del rapporto debito pubblico / Pil verso i valori raggiunti prima della crisi dei debiti sovrani. Sono credibili questi dati? A nostro avviso no. Il prestigiatore Piercarlo Padoan, infatti, seguendo una tradizione consolidata negli anni anche da chi lo ha preceduto, ha messo in scena una illusione finanziaria: fatta con un mix di stime di crescita del Pil nel triennio 2017-19 ottimistiche e di utilizzo di previsioni del deficit pubblico non al netto delle clausole di salvaguardia. Vediamo in dettaglio le cifre contenute nella tabella I.3 del Def. Il deficit pubblico nel 2017 dovrebbe raggiungere il 2.1% del Pil (- 0.2% grazie alla manovra correttiva), per scendere all’1.2% nel 2018 e quasi azzerarsi: 0.2% nel 2019. Il rapporto debito / Pil, dal canto suo, dovrebbe toccare quota 132.5% nel 2017, per poi approdare al 131.0% nel 2018 e al 128.2% nel 2019. Gli introiti derivanti dalle privatizzazioni dovrebbero contribuire a ridurre ogni anno dal 2017 al 2020 il rapporto debito / Pil dello 0.3%. 

Questi in sintesi i dati del Def: di seguito le nostre perplessità sugli obiettivi sul deficit e sul debito alle quali abbiamo accennato sopra. Il Governo prevede per il 2018  un deficit del 1.2% del Pil, inferiore di quasi un punto percentuale rispetto al dato del 2017. Il miracolo finanziario si compie perché il Governo Gentiloni ha messo a bilancio l’attivazione delle clausole di salvaguardia che negli ultimi tre anni Renzi aveva disattivato. La reintroduzione delle suddette clausole nel 2018 garantisce all’erario entrate da imposte indirette per 19.6 miliardi di euro pari all’1.1% del Pil. Lo stesso avviene per il 2019: dagli aumenti automatici delle imposte indirette dovrebbero entrare nelle casse dello Stato 23.2 miliardi di euro pari al 1.3% del Pil. Il problema è che l’adozione delle clausole di salvaguardia nel Def di primavera, da noi ribattezzate ‘ganasce fiscali’, riduce la discrezionalità fiscale del Governo quando dovrà presentare il disegno di legge di stabilità entro il 15 di ottobre. In altre parole, mentre a primavera le ‘ganasce fiscali’ facilitano la stesura del Def garantendo la copertura finanziaria in autunno l’ammontare delle riduzioni di imposta  che il Governo potrà inserire nella legge di bilancio saranno condizionate dalla necessità di reperire risorse finanziarie nel bilancio per togliere le ‘ganasce fiscali’ alle ruote dell’economia italiana e far quadrare il bilancio dello Stato. Riguardo all’andamento debito pubblico restano le stesse perplessità legate al deficit. Vediamole. Per motivi di spazio abbiamo omesso l’analisi degli effetti della presenza o meno delle ganasce fiscali sull’andamento debito pubblico. Diciamo solo che la presenza delle ‘ganasce fiscali’ a primavera contribuisce alla riduzione del rapporto debito / Pil mentre a fine anno la loro assenza, venuto meno il loro effetto inflazionistico che gonfia il Pil nominale, non fa scendere il suddetto rapporto. Nel Def di primavera si prevede una diminuzione del rapporto debito / Pil in quattro anni di sette punti percentuali che a noi ci sembra molto esagerata.

Analizziamo le ragioni del nostro pessimismo. Ci sono due fattori che vanno osservati per analizzare la variazione del rapporto debito / Pil: l’avanzo primario (l’eccesso delle entrate sulle spese, escluse quelle per il pagamento degli interessi sul debito pubblico in circolazione) e l’“effetto palla di neve”  che misura la differenza tra il tasso d’interesse medio pagato sul debito ed il tasso di crescita del Pil (più bassi sono i tassi d’interesse e più alta la crescita e meno forte è il contributo di questo fattore alla crescita del rapporto debito / Pil). Pertanto se la crescita del Pil è maggiore del costo medio del debito l’effetto palla di neve è favorevole. In caso contrario l’effetto è negativo. Le ottimistiche previsioni del Governo, per farla breve, si basano troppo sugli effetti positivi dell’avanzo primario e dell’“effetto palla di neve” sul rapporto debito / Pil che non sono all’orizzonte.  

Marco Boleo             




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