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28/02/2017
Fine vita, no alla propaganda e alla strumentalizzazione
E’ evidente che si è voluto sfruttare un caso per creare un’onda emotiva favorevole alla legge che di fatto introdurrà in Italia un fantomatico “diritto a morire”.

Con straordinario tempismo - proprio a poche ore dalla discussione in aula alla Camera del disegno di legge sulle cosiddette “Disposizioni Anticipate di Trattamento” (DAT) – presso la clinica Dignitas di Zurigo, sotto l’attenta regia del politico radicale Marco Cappato, si è attuato il “suicidio assistito” di Fabiano Antoniani, dj Fabo. La vittima era un disabile gravissimo, ma non un malato terminale. Dopo l’incidente stradale, aveva seguito la riabilitazione. “Poi ha smesso di lottare”, ha dichiarato ad Avvenire il fisiatra che l’ha seguito per due anni. E, oggi, i media e gran parte della politica celebrano in coro la possibilità di scelta e l’ “atto di libertà”.
La cura dei disabili interessa ben poco a media e politici. Però se un disabile, assalito dalla disperazione, decide di farla finita, massima ribalta. Come se non fosse una sconfitta, quella di una società che davanti alle difficoltà, non sa dare altra risposta che istituzionalizzare la soppressione di una vita. Come se – per lo Stato - ci fossero vite degne ed altre no. Vita che, della libertà, come di qualsiasi altro bene, è condizione imprescindibile.
Massimo rispetto è dovuto ad ogni persona, tanto più a chi è colpito da grandissima sofferenza. Nessun giudizio sulla persona. Però la questione è politica. L’ultima dichiarazione di Fabo riportata dai giornali è stata: “Qui senza l’aiuto del mio Stato”. E Cappato ha twittato la “notizia” solo otto minuti dopo la morte. Ancora sette minuti, ed era già su tutte le prime pagine online.
E’ evidente che – secondo copione radicale ormai ben noto - si è voluto sfruttare un caso per creare un’onda emotiva favorevole alla legge che di fatto introdurrà in Italia un fantomatico “diritto a morire”. Una legge che non corrisponde all’esperienza e al sentire del popolo italiano. E che, in commissione affari sociali alla Camera, è stata approvata con seduta fiume notturna, e ricorrendo al famigerato “canguro” per falcidiare gli emendamenti dei deputati che vi si opponevano.
L’articolo 3 del disegno di legge, tra l’altro, permette di sottrarre la nutrizione e l'idratazione, e impone al medico la vincolatività delle volontà in precedenza dichiarate del paziente al riguardo. In questo modo, il medico diventa un mero esecutore di una volontà espressa da una persona (il futuro “paziente”) senza consapevolezza della situazione in cui si verrà a trovare. Infatti, non solo la persona da “sana” inevitabilmente considera negativamente una eventuale condizione da “paziente”, ma anche ben poco si sa sui cosiddetti “stati vegetativi”. E chi si è “risvegliato” - anche dopo anni – dice che sentiva e si accorgeva di quanto accadeva intorno a sè.
La portata della legge è notevole. Nella condizione di Eluana, l’unica persona in “stato vegetativo” finora portata a morte in Italia tramite sospensione di idratazione e nutrizione,  ci sono almeno duemila persone, solo in Italia. Verso di loro, e via via verso qualunque disabile, uno sguardo di morte diventerà del tutto lecito.
Creato un varco nella cultura del rispetto della vita fino al suo termine naturale, è prevedibile che tutto il sistema andrà nella direzione della “dolce morte”, e nessuno sarà esente dalla considerazione che  la morte costa molto meno delle cure. Un’iniezione a base di pentobarbital costa poche decina di euro, contro le centinaia di migliaia necessari per provare a guarire o anche solo prendersi cura di un malato. L’alternativa, specie alla luce dello stato delle casse dei sistemi sanitari nazionali, diventerà sempre più pressante. Con buona pace di quella che oggi è definita “libertà di scelta”.
Si tratta di un passo in avanti formidabile per la “cultura dello scarto”, che alla dignità di ogni vita umana sostituisce la valorizzazione soltanto di chi è prospero e produttivo. Poi c’è la rottamazione.


Francesco Bellotti




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