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24/02/2017
La scorciatoia leaderistica
Assistiamo ad una vera e propria semplificazione ideologica, con una buona dose di improvvisazione, la convinzione di poter risolvere i problemi affidandosi ad un Capo

Alla fine la scissione del PD è avvenuta per davvero. Non si può certo dire che sia arrivata all’improvviso, visto che era un argomento al centro del dibattito politico da diverso tempo. Ad oggi non si sa quanti parlamentari seguiranno D’Alema Bersani e Rossi, e soprattutto non si sa quanti elettori riuscirà a catalizzare questa nuova formazione politica. Renzi, che ha fatto di tutto per arrivare a questa soluzione, presume che siano pochi , talmente pochi da diventare trascurabili nel quadro politico futuro in cui si vede ancora lui leader indiscusso e, soprattutto, indiscutibile. Altri, come del Rio, hanno paragonato la scissione alla crepa nella diga californiana: una volta aperta una crepa le acque diventano incontrollabili.

In attesa di vedere quale dei due scenari si realizzerà di certo una cosa possiamo dirla. Chi va via rappresenta una buona parte della storia degli ultimi vent’anni della sinistra italiana. L’abbandono della cosiddetta casa madre da parte di due ex segretari nazionali, uno per di più che è stato il  primo Presidente del Consiglio  dei Ministri proveniente dal Partito Comunista Italiano, fatto di portata sicuramente storica, non può certo lasciare indifferenti. Stupisce pertanto la non curanza con cui ha affrontato questa questione Renzi. Emiliano  lo ha definito anaffettivo, ma al di la dell’aspetto emotivo, l’ex segretario ha affrontato la Direzione come un rullo compressore non solo non concedendo nulla, ma rasentando la strafottenza e l’offesa non degnandosi nemmeno di fare la replica finale.

Dagli Stati uniti, in cui si è recato in vacanza studi, liquida il tutto con una delle sue solite battute: “In Italia si litiga sul niente mentre il mondo corre”.Potrebbe essere vero se la scissione si fosse consumata sulla questione delle date, ma cosi non è. La scissione era nei fatti già al tempo del referendum costituzionale. All’ora si sono scontrate frontalmente due visioni della società all’interno del partito democratico. Due linee politiche completamente diverse che dovevano necessariamente confrontarsi. Il luogo naturale dove si devono confrontare visioni e linee diverse è sicuramente il congresso. Ma quale congresso? Non certo questa pseudo versione di congresso delle primarie.  Nei congressi ci si confronta sulle linee politiche, nelle primarie sui leader. Il dibattito sulle idee nella campagna delle primarie scompare  e viene sostituito da slogan e battute da propaganda spicciola. Non si pensa più, anzi non si deve proprio pensare, si deve soltanto far colpo su chi ascolta. Luigi Sturzo affermava che non esiste azione politica senza prima un pensiero. “Ogni fatto storico si prepara con la formazione del pensiero, la discussione dei problemi è preparatoria a ogni soluzione”.

Questo è il problema non solo del Partito Democratico  ma di tutte le attuali formazioni politiche. Assistiamo ad una vera e propria semplificazione ideologica, con una buona dose di improvvisazione,la convinzione di poter risolvere i problemi affidandosi ad un Capo. Da qui la nascita televisiva dei leader, e soprattutto la convinzione che tra i leader e il popolo ci debba essere un rapporto diretto e immediato e si possa far meno di una classe dirigente. Si cerca il capo piuttosto che interrogarsi sulla propria identità politica, sul progetto di società e sul relativo programma politico. E’ una vera e propria scorciatoia leaderista.  

Pensando di risolvere il confronto ideologico nella prova muscolare delle primarie Renzi ha impedito ogni vero confronto di idee. La minoranza, vittima dei suoi errori del passato (le primarie allargate sono state fatte dalla segreteria Bersani) si è trovata privata della possibilità di una vera contesa, quindi ha scelto la scissione.

Ma i problemi delle idee e delle identità restano. Renzi potrà anche farsi rieleggere segretario a larga maggioranza (anche se oggettivamente sarà più debole e  sempre  più dipendente dalla corrente di Franceschini) ma sarà leader di cosa? Emanuele Macaluso afferma che ogni partito deve aver un chiaro assetto culturale politico, ma continua: “io questo assetto nel PD non lo vedo proprio”.

Di solito si dice che il PD nasce dall’incontro di due tradizioni culturali e politiche, la comunista e la democristiana. Ma non è così. Nasceva dall’incontro tra la tradizione comunista e alcuni eredi di una parte della sinistra democristiana. Non certo la tradizione di Sturzo, De Gasperi e nemmeno di Moro. Basta rileggere il discorso di Aldo Moro a Lucca il 28 aprile 1967 in cui parlava della democrazia integrale per capire quanto sia falso tentare di arruolare Moro nel Pantheon del PD. Ora con buona pace di Veltroni e Fassino gli scissionisti si portano dietro la residuale parte dell’identità di sinistra che restava ancora nel Partito Democratico. Cosa sarà il PD del dopo scissione sarà compito di Renzi spiegarlo ai suoi iscritti ed a tutti gli italiani. Sempre che Renzi abbia tempo per farlo, visto che siamo in un mondo che, come lui dice, corre. Il mito della velocità è sempre stato un pallino di Matteo Renzi, solo che più va avanti e più assomiglia ad uno che, rubata una Ferrari, la guida senza avere la patente, andando inevitabilmente a sbattere. Renzi Presidente del Consiglio è già andato a sbattere il 4 dicembre, vedremo dove andrà a sbattere ora dopo il blitz delle primarie.

Giancarlo Moretti

 

 




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