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01/12/2016
“Il lavoro che vogliamo. Libero, creativo, partecipativo e solidale'
Il tema delle prossime Settimane sociali dei cattolici che si terranno a Cagliari dal 26 al 29 ottobre

“Il lavoro che vogliamo. Libero, creativo, partecipativo e solidale”, è il tema delle prossime Settimane sociali dei cattolici che si terranno a Cagliari dal 26 al 29 ottobre. E’ di questi giorni la lettera d’invito di mons. Filippo Santoro, Presidente del Comitato scientifico e organizzatore delle Settimane sociali, nella quale delinea le prospettive attraverso le quali guardare questo importante evento. La prima è il lavoro come vocazione: il lavoro è innanzitutto una chiamata, o meglio la risposta ad una chiamata, il mezzo attraverso il quale conoscere e realizzare se stessi, contribuire alla costruzione della casa comune. Nel nostro mondo questo aspetto è ritenuto superfluo, un di più del quale si può e si dovrebbe fare a meno, un pio desiderio. Invece, proprio attraverso la riscoperta del lavoro come vocazione è possibile recuperare la dimensione umana del lavoro, una dimensione che ha necessità di essere costantemente “formata e coltivata attraverso un percorso di crescita ricco e articolato” capace di sviluppare tutta la persona. La seconda prospettiva è quella delle opportunità. Il lavoro non nasce per decreti, non si crea attraverso la legge, ma attraverso “uno sforzo individuale e un impegno politico serio e solidale”. Questo aspetto ci ricorda la responsabilità che ciascuno di noi ha nella creazione del lavoro, un compito che non può essere lasciato solamente alla politica, neppure alla buona politica. Se la politica ha il dovere primario di creare le condizioni affinché possano sorgere nuove opportunità di lavoro, queste coinvolgono tutti i soggetti della società, a partire dagli imprenditori profit e non - profit. La terza prospettiva è il lavoro come valore. Il lavoro è valore perché “ha a che fare con la dignità della persona, è base della giustizia e della solidarietà sociale e genera la vera ricchezza”. Si tratta di un passaggio molto denso, in cui si vuole sottolineare che il lavoro non è uno strumento per la trasformazione del capitale, ma è un valore, anzi è il valore, poiché fondamento della dignità, della giustizia, della solidarietà, principi che costituiscono il nostro vivere comune. Da qui la quarta prospettiva, il lavoro come fondamento della comunità.

Il lavoro è “fondamento di comunità, perché valorizza la persona all’interno di un gruppo, sostiene l’integrazione tra soggetti, sviluppa il senso di un’identità aperta alla conoscenza e all’integrazione con nuove culture, generatrice di responsabilità per il bene comune”. Ad una società che a fronte delle tante prove - dalla crisi economica al fenomeno dell’immigrazione - si sente lacerata, quasi incapace di ritrovare qualcosa che sia capace di unirla, viene proposto il lavoro come mezzo per rigenerarsi, per ricucire gli strappi, per rimettere al centro il bene comune. Non è un caso, forse, se questo senso di sfaldamento  sociale corrisponde al declino del lavoro, ad un progressivo impoverimento economico e umano delle relazioni di lavoro. L’ultima prospettiva suggerita è la legalità. Il lavoro degno promuove la legalità, “diventa indispensabile creare luoghi trasparenti affinché le relazioni siano autentiche e basate sul senso di giustizia e di eguaglianza nelle opportunità”. Il richiamo alla legalità - aspetto sempre presente nei discorsi sul lavoro di Papa Francesco - è necessario per superare la disperazione di quanti vivono situazioni di illegalità viste come sole opportunità per sopravvivere. Assieme a queste linee prospettiche, mons. Santoro sottolinea anche quattro “registri comunicativi” per prepararsi alle Settimane Sociali: “denunciare le situazioni più gravi e inaccettabili”; “raccontare il lavoro”; “raccogliere e diffondere le tante buone pratiche”; proporre iniziative “che, sul piano istituzionale, aiutino a sciogliere alcuni dei nodi che ci stanno più a cuore”. Il percorso di avvicinamento alle Settimane sociali sarà articolato attraverso quattro appuntamenti nazionali e ai quali si aggiungeranno i percorsi diocesani e delle varie comunità cristiane. E’ molto importante in questo momento di profondo cambiamento, rimettere al centro della discussione il lavoro senza trattarlo come un problema da risolvere, ma come primo fattore di sviluppo sociale e umano, come primo fattore del vivere comune, come primo fattore di giustizia. E in questo tempo in cui, nel bene o nel male, si parla sempre di lavoro, sottolineare le caratteristiche di un lavoro umano, profondamente umano, significa superare la logica del “va bene ogni cosa” che altro non fa che aggravare e incancrenire le tante situazioni di difficoltà. Occorre ritrovare il gusto della partecipazione civile e sociale ad un tema troppo spesso svilito come il lavoro, un impegno al quale contribuire con passione.

Giovanni Gut

 

 




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