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27/10/2016
Approvata la legge anticaporalato
Ma mancano interventi sulla filiera agricola
Il tanto atteso ddl sul caporalato è stato approvato qualche giorno fa. Non si tratta di un traguardo raggiunto, c’è ancora tanto da fare. Questo decreto, rappresenta un punto di partenza per ulteriori iniziative a favore della dignità del lavoro agricolo e dei lavoratori dei campi che da solo non basta. Discutendo di agricoltura e lavoro nero, spesso siamo abituati, a centrare la nostra attenzione solo sul caporale e utilizzando una formula matematica potremmo dire che il caporale sta al fenomeno dello sfruttamento agricolo, come lo scafista sta a quello delle migrazioni via mare. Questo per chiarire che l’immigrazione non si ferma colpendo lo scafista e il caporale. Il caporalato è un anello della catena di sfruttamento del settore agro-industriale, che parte dalla grande distribuzione organizzata passando per le industrie di trasformazione e i commercianti, i quali di solito hanno il controllo delle organizzazioni dei produttori. Per chi trae realmente profitto dalla filiera agro-alimentare, il caporale è funzionale al reclutamento e al controllo dei lavoratori e delle lavoratrici, né più né meno di quanto lo siano forme legali di intermediazione di manodopera, quali possono essere le agenzie interinali o le cooperative, che operano in agricoltura come in tutti i settori. Criminalizzare il caporale, bersaglio mediatico perfetto (soprattutto se straniero), rappresenta un comodo espediente forse per lavarsi le mani. E’ un errore continuare a sostenere che è colpa dei caporali se i e le braccianti ricevono paghe da fame per turni di lavoro massacranti, vivendo in abitazioni fatiscenti senza acqua né luce, senza invece tenere conto dei padroni delle aziende agricole, delle industrie di trasformazione e della grande distribuzione organizzata che fanno profitti sul loro sfruttamento.
 
È ovvio che di questo gioco risentono gli anelli più deboli della filiera, a partire proprio dai braccianti che raccolgono i cassoni di pomodoro. Bisogna dire chiaramente e con forza che il lavoro nei campi uccide per il troppo sforzo, per le paghe misere e il sistema del cottimo, per l’assenza di garanzie minime, per l’esposizione ad agenti chimici o per aver ingerito acqua non potabile. Uccide all’improvviso o lentamente, in maniera silenziosa, giorno dopo giorno, logorando i corpi di chi si spezza la schiena sotto il sole per 10-12 ore al giorno. Ma dobbiamo anche dire, che gli enormi profitti delle multinazionali del cibo si reggono sulla miseria, la precarietà e la ricattabilità dei lavoratori e delle lavoratrici. Si reggono su proprio quelle schiene spezzate. E’ necessario quindi,  mobilitarsi per porre fine allo sfruttamento che nutre solo i ricchi del pianeta. Nel decreto approvato manca proprio questo: l’intervento sulla grande filiera agricola.  Manca il riferimento alla grande distribuzione e a chi ha la responsabilità di fissare i prezzi dei prodotti agricoli. Questo perché imponendo dei prezzi non si sa chi, spinge gli imprenditori, anzi li autorizza a peggiorare la condizione di lavoro di chi poi sul campo raccoglie arance o pomodori. Intervenire sulla filiera agricola pertanto è il primo passaggio per provare a colpire e sanare questa piaga. Scegliere i frutti della legalità o come direbbe il professor Leonardo Becchetti votare una azienda con il portafoglio.  Come Movimento impegnato nella tutela del lavoro giusto e dignitoso, diciamo no allo sfruttamento agricolo dei lavoratori migranti e non solo perché sono tanti anche gli italiani. In questo anno siamo impegnati con una nostra campagna di tutela  ai lavoratori sfruttati grazie ad un progetto nazionale “Alla luce del sole”, ma richiamiamo l’attenzione ai controlli e alle ispezioni della grande filiera agricola. La battaglia per la legalità parte da qui.
 
Maria Pangaro
 
 



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