PRIMO PIANO
10/02/2015
“Manca una chiara visione collettiva su come disinnescare la crisi in Ucraina'
se Berlino e Parigi muovono i big, l’Alto rappresentante per gli Affari Esteri Ue che ci sta a fare?

Il sospetto era già venuto tre mesi fa, quando a Vienna in una fase delicatissima del negoziato tra Iran e il cosiddetto “5 più 1” (Usa, Russia, Cina, Inghilterra, Francia più la Germania), al tavolo con il ministro degli esteri Javad Zarif si presentò, proprio in rappresentanza delle sei potenze mondiali la Baronessa Catherine Ashton, già Alto Rappresentante per gli Affari esteri dell’Unione europea. “Già”, nel senso che almeno da tre settimane la laburista inglese aveva esaurito il suo mandato a Bruxelles: al suo posto era subentrata Federica Mogherini, già ministro degli esteri del governo Renzi. Eppure, a Vienna ci andò la Signora e non la Pivella. Perché la Lady Pesc in carica dovette cedere oneri e onori di una trattativa complicata a chi l’aveva preceduta? Semplicemente perché Lady Ashton, pur con tutte le perplessità sull’adeguatezza del suo profilo e i limiti del suo mandato (che tuttavia nasce fortemente limitato da precise volontà politiche delle principali cancellerie europee) si era comunque distinta nella capacità di gestire il dossier Iran, a tal punto da ottenere la massima fiducia di Washington, Pechino, Londra, Parigi, Mosca e Berlino. Una fiducia che si era addirittura tradotta nella richiesta all’Unione Europea di poter continuare a beneficiare del suo lavoro di mediazione anche oltre la scadenza naturale della sua missione all’interno delle istituzioni UE. Per questo, la Mogherini, fu messa in standby.
“A giugno - scrisse all’epoca dei fatti l’inviato speciale de il Giornale, Gian Micalessin - non appena circolata voce di una sua possibile candidatura (della Mogherini ndr), i rappresentanti di Stati Uniti, Russia, Cina, Francia, Inghilterra e Germania si sono affrettati a ratificare un documento che chiedeva all'Unione Europea di lasciare il ruolo di mediatore nelle mani della Baronessa Ashton almeno fino al 24 novembre. Uno sgarbo giustificato forse dalla necessità di garantire la continuità dei negoziati, ma difficilmente digeribile dal punto di vista istituzionale. Eppure Bruxelles l'ha accettato senza fare una piega”.

E a Bruxelles nessuno si è indispettito neppure quando François Hollande e Angela Merkel sono volati a Mosca, per trovare una soluzione definitiva (di pace) al conflitto tra Russia e Ucraina, in rappresentanza dell’Europa. Il sospetto, quindi, si traduce brutalmente in una domanda: se Berlino e Parigi muovono i big, l’Alto rappresentante Ue e, nello specifico, Federica Mogherini, che ci stanno a fare? “Prima di tutto abbiamo la Mogherini perché abbiamo bisogno dell’EEAS (European External Action Service ndr), se l’Europa volesse mai parlare con una voce sola, non solo sulla crisi in Ucraina, ma sull’intera gamma delle questioni diplomatiche”, spiega Giles Merrit, fondatore e segretario generale di Friends of Europe, uno dei think tank più influenti di Bruxelles. Come a dire, quando l’Europa vorrà dotarsi di una politica estera comune la stanza di compensazione è già pronta. Bruxelles gioca d’anticipo in attesa che le capitali si decidano a cedere anche questa parte fondamentale di sovranità. Aspettando Godot o magari Toni Blair o Josè Maria Aznar, ci accontentiamo di personaggi di second’ordine come la Ashton, che però come detto ha sorpreso tutti sull’Iran, o la Mogherini, il cui effetto sorpresa invece sembra un po’ meno pronunciato. E aspettando Godot, Wladimir Putin gioca molto abilmente la sua partita. “Scrivendo direttamente a Hollande e Merkel - rileva Merrit - il presidente russo ha voluto evidenziare proprio le difficoltà dell’Europa a parlare con una voce sola; se invece si fosse rivolto alla Mogherini sarebbe stato come legittimare tutti i leader UE”. Ma all’Europa, dice l’analista inglese, “manca ancora una chiara visione collettiva su come disinnescare la crisi in Ucraina, ed è già importante che ora Parigi e Berlino siano sulla stessa lunghezza d’onda dopo le tensioni iniziali, con la Germania che si mostrava riluttante sulle sanzioni che avrebbero potuto danneggiare l’export delle imprese tedesche verso la Russia”. Putin non vuole trovare un accordo passando per l’UE, osserva ancora Merrit, “perché questo rafforzerebbe l’Europa e Mosca ha sempre preferito la tattica del divide et impera”.

E in questo senso, l’UE gli ha sempre dato una grossa mano, come dimostra l’invasione della Georgia nell’agosto 2008. “Se guardiamo ai trattati dell'UE, gli Stati membri hanno competenza esclusiva in materia di politica estera: dunque, dal punto di vista istituzionale, non dovremmo eccepire nulla rispetto alla duplice azione franco-tedesca in Russia per fermare la crisi ucraina”, sostiene Federico Romanelli Montarsolo, ricercatore al Global Studies Institute dell'Università di Ginevra. “Tuttavia - aggiunge - il caso ucraino solleva un problema più profondamente politico e di effettivo esercizio, se ammettiamo che esista, di una ‘sovranazionalità’ europea che dovrebbe competere all'Alto Rappresentante della sua politica estera”. E’ un problema “che si ripropone ogni volta che l'azione di politica estera dell'UE si trova a fare i conti con crisi internazionali che si giocano ai suoi confini. Se pensiamo a casi analoghi (Cecenia, Kosovo, Libia) sono i singoli stati europei, prima dell'UEe, a esercitare un ruolo di intervento attivo in politica estera”. Le conseguenze che ne derivano per l'Unione Europea “in quanto soggetto autonomo sovranazionale dotato di una sua postura internazionale - sottolinea Romanelli Montarsolo - è di debolezza se non di dipendenza strategica rispetto agli interessi degli Stati Uniti”. Una debolezza che s’invera nella necessità di cooptare profili istituzionali non all’altezza rispetto alle attese e dunque in qualche modo coerente con un’attività diplomatica soft, secondo il dettato imposto dalle capitali europee.  Profilo basso, insomma, e tutti coperti e allineati.

Succede allora, tanto per capire la debolezza della scelta renziana, che un politologo autorevole come Alessandro Campi si lasci andare in un commento su Facebook tutt’altro che criptico: “La soluzione della crisi in Ucraina dipende da ciò che non farà e non dirà la Mogherini. Se continua a stare zitta e ferma forse ci sono ancora speranze di pace”. Concetto rafforzato da Vittorio Emanuele Parsi quando scrive che “a trattare per l'Europa a Mosca c'erano Merkel e Hollande. Non certo Mogherini. Perché la politica estera e di sicurezza dell'Europa resta nelle mani degli Stati. Caro Renzi, lo sapevamo tutti che impuntarsi per avere quel posto era una solenne bischerata, per dirla col conte Mascetti, anche tu. Ma nessun giornale mainstream te lo ricorda… chissà perché”. Kiev intanto continua a sperare in un sostegno “esplicito” dell’Unione Europea contro i separatisti e dei fondi UE per evitare la bancarotta, ricorda Giles Merrit. Ma anche la Russia non sta messa meglio: “I consiglieri di Putin sono già stati avvertiti degli impatti economici della sua politica in Ucraina, e soprattutto degli effetti che stanno avendo le sanzioni e la fuga dei principali investitori stranieri sul crollo dei proventi delle esportazioni di energia. Se Putin riuscirà a strappare una sorta di accordo di ‘pace con onore’, che garantirà una maggiore autonomia all’Ucraina orientale russofona - avverte il segretario generale di Friends of Europe - allora la Russia potrebbe essere in grado di risolvere le sue gravi difficoltà economiche”.

Pierpaolo Arzilla




Via Luigi Luzzatti 13/a - 00185 ROMA - Tel +39-06-7005110 - Fax +39-06-77260847 - [email protected]
2012 developed by digitalset digitalSet