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11/09/2023
Nodi e intese. Weber e il futuro dell’Europa
Riaffermare il carattere democratico e partecipativo delle istituzioni e della politica europea costituisce la base per permettere il superamento della tentazione tecnocratica.

Come è ormai sempre più evidente le questioni che vanno emergendo nel dopo globalizzazione, dal fenomeno delle immigrazioni alla politica nel Mediterraneo, dall’ambiente ai problemi energetici, dalla guerra in Ucraina agli insidiosi aspetti della tendenza recessiva a scala mondiale, richiedono il rilancio della prospettiva europea. L’Agenda delle cose da affrontare si fa sempre più fitta, mentre una serie di ragioni, non ultimo il dramma della pandemia da Covid, hanno rallentato e lasciato in sospeso i necessari adeguamenti degli accordi sugli “attrezzi” della governance europea. Emblematica la questione della ratifica del Mes, sostanzialmente fermata dal governo italiano e, soprattutto, la revisione e l’approvazione di un nuovo Patto di Stabilità, architrave della politica economica e di Bilancio della Unione che vede confrontarsi proposte divergenti. Si deve aggiungere a queste note de doleance che, anche sulle normative circa il contenimento energetico e per la regolamentazione delle attività produttive, specie in ambito agricolo, emergono spaccature che nascono dalle diverse condizioni storiche e strutturali dei Paesi, difficilmente riconducibili ad un unico paradigma economico. Mentre sul contrasto all’immigrazione irregolare e i necessari accordi con i paesi di provenienza, i pochi passi in avanti non risolvono le differenze di vedute, lasciando ancora irrisolti i nodi di fondo. Non aiuta la soluzione dei problemi sul tappeto l’approssimarsi delle elezioni e l’insediarsi una nuova Commissione entro il prossimo anno, che, oltre a inasprire il confronto, potrebbe comportare una modifica dei pesi e della stessa attuale alleanza. A ciò si aggiunga che, nel corso dell’attuale legislatura, in diversi stati si sono verificati cambiamenti politici, con l’emergere di nuove leadership non esattamente collocabili nel quadro delle forze politiche al governo della Commissione, il caso più evidente è quello dell’Italia.

Ordunque la politica è chiamata a fare la sua parte per sciogliere i nodi e costruire una intesa grande che sia in grado di accrescere la sovranità europea, contemperando gli interessi nazionali, tentando più ampie aggregazioni politiche a base degli accordi, senza condizionamenti dettati dalla fretta di decidere in tempi stretti o dalle stesse aspettative di un quadro politico che scaturirà dopo giugno 2024. Il commissario europeo Gentiloni a Cernobbio ha affermato, con inusuale piglio ultimativo, che “la sospensione del Patto di stabilità non sarà prolungata nel 2024”, pena il fatto che, come aveva ricordato in un’altra occasione, senza intesa rientrerebbero in vigore le vecchie normative. Questo atteggiamento che pone limiti temporali alla ricerca di un difficile accordo, non costituisce il giusto modo di sollecitare la necessità politica di nuove normative che oggi siano più adeguate a costruire lo sviluppo, piuttosto che a fissare rigore. E, per meglio comprendere, i limiti di tale atteggiamento, va posto in evidenza che l’assai più autorevole Draghi, nel suo recente articolo sul settimanale Economist, ha, di fatto, proposto una diversa ricetta precisando, a tal proposito, che: “ Tornare passivamente alle vecchie regole fiscali, sospese durante la pandemia, sarebbe il peggior risultato possibile”, scrivendo che “servono nuove regole e sovranità condivisa”, poichè “l’Europa deve ora affrontare una serie di sfide che richiederanno ingenti investimenti in tempi brevi”. Draghi ha sempre dimostrato di avere una visione attenta alle esigenze reali e non passivamente supina alla ingessatura delle norme. Il suo capolavoro fu il “whatever il takes” che motivò il suo andar oltre un rigorismo statutario della Bce. Anche in questa circostanza ha voluto sottolineare che occorrono “regole che siano severe … ma anche abbastanza flessibili, per permettere ai governi di reagire a shock imprevisti”. Infine l’invocato trasferimento di più poteri di spesa al centro, significherebbe riprendere l’idea degli eurobond che l’Italia e il Ppe hanno sempre invocato come misura adeguata ad un rafforzamento della coesione europea. Oltretutto, anche volere una trattativa europea a pezzi, senza un esame che in un quadro generale consenta un bilanciamento delle diverse esigenze, in uno sforzo collegiale e complessivo, è sbagliata. Il governo italiano colpito in maniera rilevante dall’assenza di un progetto europeo condiviso sull’immigrazione, non può serenamente affrontare questioni che sono al primo punto delle agende di altri paesi, meno interessati e quindi passivi rispetto alle questioni dell’area mediterranea.

La politica europea deve recuperare il suo primato non solo rispetto alle tensioni nazionaliste, ma anche alle sollecitazioni delle agende tecniche, ritrovando la capacità politica di costruire una intesa complessiva che potrebbe richiedere tempi più dilatati, ma necessari ad una composizione generale dei problemi reali, soddisfacente per tutti. Forse non tutti sono sufficientemente consapevoli che tutto ciò riguarda il futuro dell’Europa. Una adeguata consapevolezza politica ha dimostrato, invece, Manfred Weber che guida il Ppe al Parlamento europeo. Nell’intervista al Corsera di domenica 10 ha messo in linea i due problemi sostanziali sullo “stato dell’Unione”: i “poveri nella nostra società non possono più permettersi il costo della vita” e quindi un maggiore impegno per stabilizzare l’economia e, contemporaneamente la questione “migrazione” per la quale “la gente è preoccupata in tutta Europa”, rimarcando l’“obbligo morale” di arrivare ad un patto sull’immigrazione entro la legislatura. Parole tendenti a rassicurare che l’Europa deve avere uno sguardo complessivo. Sul “Green Deal” ha rimarcato le differenze di vedute con Timmermans, auspicando che vengano ascoltate “le preoccupazioni altrui e a costruire ponti”. Soprattutto Weber, pur non escludendo pregiudizialmente nessuna posizione, anzi auspicando che popolari, liberali e socialisti debbano “sedersi insieme e trovare una intesa per il futuro della Ue”, ha posto un elemento essenziale di carattere democratico: “la decisione sulla maggioranza della composizione del Parlamento europeo è nelle mani degli elettori”, ha detto, ed anche “la costruzione di compromessi è sempre stato il fondamento e continuerà a basarsi sulle maggioranze decise dai cittadini”. Non è una affermazione priva di significato. Riaffermare il carattere democratico e partecipativo delle istituzioni e della politica europea costituisce la base per permettere quel superamento della tentazione tecnocratica, insita in qualche cultura politica funzionalista, che, a volte, ha impresso un indirizzo che ha allontanato l’Europa dalla gente. Il futuro dell’Europa, come sempre, sta tutto qui.

Pietro Giubilo




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