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10/08/2023
La mossa populista sugli extraprofitti
La nuova imposta straordinaria colpisce le banche e in generale tutti gli intermediari finanziari.

La mossa a sorpresa dei cosiddetti extraprofitti delle banche ha il sapore della mossa esclusivamente politica, con un tratto di rincorsa alle spinte populiste dei grillini e del Pd degli ultimi mesi. Ma le conseguenze negative rischiano di essere superiori ai benefici. In attesa che venga adottata e messa in atto, la prima reazione tangibile all'annuncio della tassazione sugli extraprofitti delle banche, c'è già stata: si sono bruciati 27 miliardi in un giorno alla Borsa di Milano, che ha chiuso con un -2,12% e tutti i titoli degli istituti di credito in picchiata e 9 miliardi persi. Il punto chiave è che si rischia di trasmettere agli investitori stranieri e ai risparmiatori un messaggio che danneggia la reputazione e la credibilità del Paese. Non possiamo non domandarci quale impatto una misura di questa portata può avere sulle decisioni di chi decide se, come e quando mettere soldi in un'impresa o sui titoli di uno Stato. Senza contare che in una fase di incertezza e di pericoli dì recessione un'adeguata patrimonializzazione delle banche rappresenta una delle più efficaci garanzie contro la deriva di crisi sistemiche. Tacciono i banchieri, irritati poiché colti di sorpresa e non avvertiti dal governo, che in serata corregge la rotta con una specifica che salvaguarda gli istituti virtuosi. C'è «un grosso squilibrio», lo spiega il sottosegretario Giovanbattista Fazzolari, perché oggi ci sono «due tassi di riferimento molto distanti tra loro: quelli di accesso al credito e quelli riconosciuti quando si versa». Quindi il governo fa «un’operazione giustizia» e insieme «riduce una stortura» del mercato. Ed era l'unico a poterlo fare, perché «è l'unico governo che non ha rapporti privilegiati con le banche». Nel frattempo, l'opposizione (Terzo Polo escluso) litiga con la maggioranza sulla paternità della misura. I sindacati invece rilanciano: 'Ora tocca alle multinazionali’. Gli ultimi ritocchi sono scattati all’indomani rivedendo le percentuali sulle quali si applica la tassa relativa agli extraprofitti delle banche, e verso sera specificando che «gli istituti bancari che hanno già adeguato i tassi sulla raccolta non avranno impatti significativi».

C'è ovvero un discrimine: non tutti gli istituti pagheranno gli extra profitti, ma solo chi ha ritoccato i costi per i correntisti e li ha lasciati invariati pe sé. Inoltre, specifica il Mef, c'è un tetto massimo per il contributo, che non può superare lo 0,1% del totale dell'attivo». Ma come funzionerà la nuova tassa? E quali possono essere i vantaggi per i contribuenti? La nuova imposta straordinaria colpisce le banche e, in generale, tutti gli intermediari finanziari, escluse le società di gestione dei fondi comuni d'investimento e le società di intermediazione mobiliare. In particolare, si applica sul cosiddetto margine di interesse. In effetti, l'aumento dei tassi di interesse deciso dalla Bce, si è subito tradotto in un'impennata dei tassi attivi su prestiti e mutui mentre i tassi passivi (quelli pagati dagli istituti ai correntisti) si sono adeguati molto lentamente. Il tutto si è tradotto in un forte aumento degli utili. L'imposta straordinaria del 40% si applica sulla quota di extraprofitti maturata fra il 2021 e il 2022 e fra il 2021 e ii 2023. Nel primo caso la tassa si calcola sugli utili che eccedono il 5% (nella prima versione era il 3%), nel secondo le eccedenze oltre il 10% (e non più del 6%). L'ammontare dell'imposta straordinaria, in ogni caso, non può essere superiore a una quota pari al 25 per cento del valore del patrimonio netto alla data di chiusura dell'esercizio antecedente a quello in corso al 1° gennaio 2023. La tassa è completamente a carico degli istituti di credito e degli intermediari finanziari. Non ci saranno aggravi per i correntisti che non vedranno più mutare gli attuali tassi di interesse passivi. L'imposta straordinaria non è deducibile ai fini delle poste sui redditi e dell'imposta regionale sulle attività produttive. Nella generalità dei casi il contributo andrà versato entro il giugno 2024, ovvero entro sei mesi dalla chiusura dell'esercizio 2023. La norma precisa che i soggetti che approvano il bilancio oltre il termine di quattro mesi dalla chiusura dell'esercizio effettuano il versamento entro il mese successivo a quello di approvazione del bilancio. Per i soggetti con esercizio non coincidente con l'anno solare, se il termine scade nel 2023, il versamento è effettuato nel 2024, comunque, entro il 31 gennaio. I soldi raccolti con la nuova imposta sugli extraprofitti confluiranno in fondo ad hoc gestito dal ministero dell'Economia.

La dote sarà destinata ad alimentare tre voci: gli sconti sui mutui sottoscritti dagli under 36 per l'acquisto della prima casa, il taglio del cuneo fiscale anche nel 2024 e la riduzione delle aliquote Irpef da 4 a 3 prevista dalla delega fiscale e che dovrebbe scattare dal primo gennaio prossimo. Le decisioni saranno prese con la nuova legge di Bilancio. Resta il fatto che le somme che potenzialmente potrebbero essere raccolte dal governo possono finanziare integralmente solo gli aiuti per le famiglie alle prese con il caro-mutui. Infatti, per coprire l'intero taglio del cuneo fiscale servirebbero circa 9 miliardi di euro. Mentre per il taglio delle aliquote Irpef la cifra oscilla fra un minimo di 4 a un massimo di 6 miliardi. La Borsa non ha preso bene l’annuncio della tassa italiana sugli extra profitti delle banche. Piazza Affari è stata infatti travolta dalla notizia, spazzando via solo nella prima ora di contrattazioni circa 10 miliardi di euro di capitalizzazione, per chiudere con un -8,65 miliardi. La tassazione sugli extraprofitti delle banche non sembra un provvedimento antiliberale per un semplice motivo: gli extraprofitti sono stati ottenuti innalzando i tassi sui prestiti, a seguito degli interventi della Bce e lasciando invariati gli interessi sui depositi prossimi allo zero. Non è pensabile che questa strategia delle banche possa essere definito “attività d’impresa” che, per sua natura, prevede un rischio che in questa circostanza non è esistito. Purtroppo, l’intermediazione classica del settore bancario è saltata da tempo, l’investimento classico del settore bancario, come sempre evidenziato, non esiste più e sono altre le forme finanziarie di investimento che generano commissioni e utili per le banche. Questo “nuovo modello” di attività bancaria andrebbe sempre analizzato dalla politica in profondità, non soltanto quando servono entrate economiche, ma quando talvolta viene meno il ruolo sociale che dovrebbe realizzare qualsiasi banca. Intanto ci si augura che queste somme vengano utilizzate, come preannunciato, per aiutare i più deboli con iniziative concrete e trasparenti.

Gilberto Minghetti




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