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24/04/2023
Un 25 aprile diverso
La costruzione della coesione nazionale appare sempre più necessaria per assicurare il futuro dell’Italia che, improvvisamente, sembra diventato meno certo.

Quest’anno la ricorrenza della Liberazione avviene in un contesto istituzionale e politico diverso: dopo le elezioni del settembre scorso, al governo del Paese c’è una coalizione politica a guida di destra. Questo fatto ha spinto Carlo Verdelli a esporre sul Corriere della Sera una interpretazione che lui stesso definisce “malevola”: “L’impressione – ha scritto - è che molti esponenti, a vario titolo, della prima maggioranza orgogliosamente di destra preferirebbero depennare la data, saltando in fretta un martedì di passione e di passioni”. L’editorialista, tuttavia, fa seguire una considerazione, non banale, affermando che sarebbe, invece, auspicabile “un’altra opzione” e cioè “accettare la Liberazione come pietra d’angolo di tutta la vicenda nazionale che ne è seguita, comprese le evoluzioni del partito che ora guida per maggioranza del Paese … in forza di elezioni popolari che sono strumento chiave di quella democrazia di cui il 25 aprile fu appunto seme e alba”. Verdelli espone una tesi interessante: mantiene fermo il concetto che l’”arco costituzionale”, cioè il recinto della democrazia italiana, sia circoscritto al fatto storico della Resistenza e dei partiti che le diedero vita e che si realizzò con il Referendum per la Repubblica e la Costituzione del 1948, ma indica alla destra, oggi al governo, l’utilità di compiere il gesto della accettazione di quel dato storico, aderendovi compiutamente: “Pur senza rincorrere irrealistiche visioni di armonia e concordia nazionale – scrive in conclusione - rispettare il 25 aprile che verrà, aiuterebbe a svelenire un clima che vede addensarsi più scontri che confronti su troppi temi sensibili … “. Mentre appare evidente lo sforzo di Verdelli volto a suggerire l’apprezzabile costruzione di una condizione meno conflittuale dei rapporti politici, tuttavia, forse, proprio il superamento della stretta logica dell’”arco costituzionale”, avviatosi con la seconda Repubblica e compiutosi con il risultato elettorale del 25 settembre scorso, indurrebbe a tentarne una valutazione storica e politica con un orizzonte più ampio e complessivo. Perché rassegnarsi a non proporre di considerare importante e necessario un percorso che riesca a collegare il 25 aprile ad una condizione di concordia nazionale? In altre parole, perché non compiere uno sforzo per renderla, come suggerì a suo tempo Silvio Berlusconi ad Onna 14 anni fa, “la festa di tutti gli italiani che amano la libertà e vogliono restare liberi, l’occasione per riflettere sul passato, ma anche sul presente e sul futuro”?

In effetti questa data possiede un carattere decisivo. Essa attualizza un fatto popolare, un evento che ha mostrato la differenza tra il popolo e lo Stato autoritario. Essa assumerebbe un senso compiuto non circoscrivendola al solo protagonismo delle forze politiche che purtuttavia la animarono, ma riconoscendo che protagonista fu il popolo che aveva sofferto la guerra e subìto la tragedia di uno Stato imposto con la violenza. Questo protagonismo del popolo, anche sotto l’aspetto insurrezionale, non dovrebbe apparire secondo il linguaggio e la lettura di una sola parte, quella che istruì l’aspetto militare, cioè quella comunista. Del resto, in quel tempo, la leadership comunista, che segnò la cultura politica resistenziale, faticava a smarcarsi da un altro Stato autoritario e talune violenze sui vinti, divenute oggi memoria storica, ne dimostrano il senso ed anche come il campo della democrazia fosse altrove, non ad Est. Gli stessi frutti del nuovo tempo non si limitarono, come afferma Verdelli, ai passaggi storici del Referendum del 1946 e della Costituzione del 1948, ma si videro il 18 aprile del ’48, giorno nel quale il popolo con le sue prime elezioni a suffragio universale, si affidò alla Democrazia Cristiana, cogliendo il primato della tradizione democratica che era nella storia del Paese, riconoscendo il ruolo che la Chiesa cattolica aveva avuto nella sua identità. Scelse, in sostanza, la libertà, la democrazia e l’Occidente. Dei frutti del 25 aprile non possono essere considerati solo quelli sui quali fu determinante il ruolo dei comunisti, questa lettura tende a legittimare un quadro politico – l’”arco costituzionale” - che dopo 78 anni non appare più attuale. Anche il cammino iniziato in quel 18 aprile, cioè la scelta popolare della democrazia come forma della sua esistenza e fondamento del sistema rappresentativo, con il ruolo determinante del Parlamento e l’esito della volontà popolare, aldilà dei partiti protagonisti di allora, si deve configurare come risultato ed interpretazione del 25 aprile. Pertanto questo può ben essere considerato una festa di tutto il popolo italiano, senza steccati o esclusivismi. Quel cammino, infatti, ha consentito di arrivare fino al 25 settembre del 2022, come peraltro ha sottolineato lo stesso Verdelli, mantenendo una salda condizione democratica, tutelando ogni scelta popolare. Si sta per celebrare, dunque, una giornata in una condizione diversa che, forse, potrebbe ampliarne il significato e coinvolgere tutti gli italiani.

Qualche segnale sembra corrispondere a questa esigenza. Valter Veltroni, pur in una analisi che contrasta le tesi “revisioniste” che, secondo il suo giudizio, hanno messo ingiustamente sotto accusa i partigiani, deplora che ancora “fatichiamo assurdamente a considerare [il 25 aprile] la festa di tutti gli italiani”. E ci sono aspetti di umana pietas che emergono, superando anche le ragioni dell’odio e della vendetta. Sono di questi giorni le parole di Stefania Craxi ad Aldo Cazzullo del Corsera, che il quotidiano mette in evidenza nel titolo dell’intervista, con le quali rammenta di quando si trovò con il padre “davanti al cancello contro cui fu fucilato il Duce” e “mi portò a comprare un mazzo di fiori e deporli dove era morto Mussolini”. Oppure il “sogno” di Bettino, secondo la figlia, cioè “che un fascista e un socialista andassero insieme a piazzale Loreto, dove si era consumata quella che riteneva un’infame barbarie e rendessero omaggio sia alla memoria di Mussolini, sia a quella dei partigiani socialisti che lì erano stati fucilati”. Sono piccoli segnali, ma che, forse, indicano la strada di quella condivisione che può condurre, nonostante l’illuminato pessimismo di Verdelli, ad un traguardo di concordia nazionale. Tutti devono fare la loro parte a cominciare da chi ha oggi, politicamente, le maggiori responsabilità, partecipando ad un evento storicamente decisivo, per finire con una diversa disponibilità di coloro che perseguono, invece, una storia di contrapposizioni, ormai anacronistiche. La costruzione della coesione nazionale appare sempre più necessaria per assicurare il futuro dell’Italia che, improvvisamente, sembra diventato meno certo, soprattutto, per quelle generazioni che dovranno interpretarlo alla luce di una storia non più apportatrice di divisioni, ma di solide radici e di ideali democratici pienamente condivisi.

Pietro Giubilo




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