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27/02/2023
Le cinque esposizioni con cui si devono fare i conti
Un portafoglio solido dovrà quindi mantenere una diversificazione tra obbligazionario di qualità e azionario.

Ci sono momenti in cui i mercati parlano una lingua sola. Sono da una parte i momenti di euforia e di bolla e, dall’altra, quelli di crash e disperazione. Ci sono poi altri periodi in cui le lingue diventano due. Per fare un esempio, negli ultimi due anni abbiamo avuto quelli che parlavano la lingua dell’inflazione transitoria e quelli che sposavano la tesi dell’inflazione strutturale. Oggi le esposizioni che possiamo censire sui mercati sono diventate cinque. Alcune sono tra loro intelligibili, anche se con fatica; altre sono comprensibili solo per chi le annuncia, alcune sono una forma di pensiero forte. Sono espresse con tesi ardite e con grado di convinzione elevato. Altre sono pensiero debole, fatto di dubbi e di prudenza. Individuare queste narrazioni sarebbe un primo passo per fare una scelta consapevole sugli orientamenti. La prima è un esempio di pensiero forte. La crescita globale, dice, è più forte e di quanto si pensi, mentre l’inflazione, al di là di qualche strascico è un problema sostanzialmente risolto. Le banche centrali si limiteranno a modesti ulteriori rialzi dei tassi, ma in realtà la normalizzazione della politica monetaria è cosa fatta. Appena sarà di nuovo chiaro che l’inflazione è in coma irreversibile, i tassi verranno tagliati. Questa narrazione, ha dominato le Borse in gennaio ed è ancora diffusa nei mercati, in particolare nell’azionario. La seconda narrazione sostiene che la crescita è fin troppo forte rispetto alle risorse effettivamente disponibili e che l’inflazione, per quanto in calo, sta stabilizzandosi su un livello ancora inaccettabile. Più si prolungano le tensioni sui prezzi, anche se limitate, più mette radici la tesi inflazionistica e più in alto dovranno salire i tassi il giorno in cui si deciderà davvero di ritornare al due per cento.

Il corollario è che più belli sono i dati macro di questi primi mesi del 2023, più profonda sarà la recessione verso la fine dell’anno, con il rischio che la crisi si prolunghi nel 2024. La terza narrazione sostiene che la crescita, al di là di qualche sporadico momento di forza, è debole e destinata a indebolirsi per gli effetti ritardati della politica monetaria. I tassi, in questa luce, sono già saliti fin troppo e le banche centrali saranno presto costrette a tagliarli. Questa narrazione ha due versioni. La prima sostiene che l’indebolimento della crescita sarà modesto e preluderà a un 2024 di ripresa. La seconda ipotizza una recessione. In entrambe le versioni l’investimento monetario (per la prima) e obbligazionario (per la seconda) è considerato preferibile rispetto a quello azionario. La quarta narrazione è una versione ottimista della seconda. È vero, sostiene, la crescita su questi livelli è incompatibile con un’inflazione al 2%. Alla fine, tuttavia, le banche centrali sceglieranno di salvare la crescita e di rinunciare al 2% di inflazione. Faranno due o tre altri rialzi, con calma, avendo deciso in cuor loro di rimanere comunque leggermente dietro la curva, in modo da non danneggiare troppo la crescita. Va poi considerato che le politiche fiscali rimarranno comunque espansive. La quinta ipotesi è che l’orientamento delle banche centrali sia ancora verso una stabilizzazione dell’inflazione, ma che da qui in avanti si faccia sempre più cauto e attendista. Un conto infatti è alzare i tassi quando sono a livelli estremamente bassi, un altro conto è alzarli quando si avvicina il punto di rottura, quello da cui parte una recessione. In questa luce, alzare i tassi di 50 punti in marzo diventerebbe per la Fed un rischio eccessivo, anche in presenza di un rimbalzo dell’inflazione.

Meglio semmai rimettere in cantiere l’ipotesi di un terzo rialzo in giugno e restare alla finestra a studiare l’andamento del ciclo economico e dell’inflazione nei prossimi mesi. Saranno infatti mesi complicati in cui pressioni di segno opposto dispiegheranno i loro effetti, in parte imprevedibili. Provando a trarre le conclusioni da questa carrellata di posizioni: come comportarsi allora davanti ai mercati? A parte la prima esposizione (buona crescita e inflazione sconfitta), un po’ troppo ottimista in un contesto di politiche fiscali espansive, le successive ipotesi presentate sono tutte possibili. Un portafoglio solido dovrà quindi mantenere una diversificazione tra obbligazionario di qualità e azionario, riservando una quota più elevata rispetto al passato al monetario, sia per i suoi rendimenti elevati sia per la possibilità che offre di cogliere occasioni specie nella seconda parte dell’anno. In secondo luogo, non sembrano esserci ancora motivi sufficienti per adottare posizionamenti aggressivi, tanto offensivi quanto difensivi. Ci si può sbilanciare verso l’ottimismo, perché l’intenzione dei policy maker di uscire dal caos degli ultimi tre anni è seria, ma ci si deve mantenere sempre prudenti.

Gilberto Minghetti




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