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24/02/2023
Sudamerica, quanto conviene la moneta comune?
L’adesione ad un’area valutaria comporta costi anch’essi correlati positivamente al grado di integrazione tra i paesi.

Circola da giorni la notizia che nel ‘Cono sud’ stia nascendo un’Unione Monetaria tra Brasile ed Argentina. Anche se i diretti interessati dicono che si sta discutendo solo di una unità di conto comune. Visto quanto accaduto all’interno dell’Unione Europea (UE) dopo l’adozione dell’euro il commento di questa notizia ci consente di ritornare sulla creazione dell’euro e sui rischi dell’adozione di una valuta comune tra paesi che hanno strutture economiche diverse come nel caso di Brasile ed Argentina. All’interno dell’Eurozona dopo l’introduzione della moneta comune vige il principio di Anna Karenina ovvero una sorta di test elaborato per la prima volta dal naturalista americano Jared Diamond e utilizzato nel suo libro ‘Armi, acciaio e malattie’. Esso si ispira all’incipit del famoso romanzo dello scrittore russo Lev Tolstoj: Anna Karenina, sostituendo alle famiglie del romanzo i paesi dell’Eurozona: “Tutti [i paesi] felici si somigliano; ogni [paese] infelice [lo è], invece, a modo suo”, con ciò intendendo che esista un solo modo per essere felici, ovvero il soddisfacimento di una serie di fattori economici e politici necessari e, di massima, comuni a qualsiasi paese, ma vari modi per essere infelici visto che i problemi di appartenenza all’Eurozona (dettati dalle regole fiscali e dalla perdita di sovranità monetaria) possono variare da nazione a nazione. La teoria delle Aree Valutarie Ottimali sostiene che un gruppo di paesi beneficia della creazione di aree valutarie con tassi di cambio fissi (o con l’adozione di una valuta comune) se sono strettamente legati tra di loro attraverso il commercio internazionale e vi è un’ampia mobilità dei fattori produttivi (capitale e lavoro).

Il cosiddetto guadagno d’efficienza monetaria che si ha entrando nell’area viene ottenuto con la scomparsa del rischio cambio. Questo vantaggio è tanto maggiore quanto maggiori sono i legami commerciali tra i vari paesi dell’Eurozona. Un paese che ha esportazioni pari al 60% verso i paesi dell’Eurozona ha chiaramente un vantaggio in termini di tasso di cambio fisso maggiore di uno che ha solo ad esempio il 4%. L’adesione ad un’area valutaria comporta costi anch’essi correlati positivamente al grado di integrazione tra i paesi. I costi possiamo chiamarli instabilità economica. Un paese che subisce uno shock sul mercato dei beni, lasciando che il tasso di cambio si aggiusti limita la fluttuazione del Pil consentendo al prezzo relativo di aggiustarsi immediatamente. Non solo, la politica monetaria non è più utilizzabile come strumento di stabilizzazione ciclica. In che modo anche in questo caso il grado di integrazione riduce il grado di instabilità economica? Supponiamo che in un paese dell’Eurozona ci sia una diminuzione della domanda aggregata dei beni. Se ciò avviene contemporaneamente negli altri paesi, il cambio fisso tra di loro ma fluttuante verso le altre valute, si deprezzerà offrendo a tutti i paesi dell’area una stabilizzazione del Pil. Se invece la caduta della domanda investe un solo paese (shock asimmetrico), dato che non è successo niente negli altri paesi, la valuta non si deprezzerà, o si deprezzerà in misura irrilevante. Il paese in questione per ripristinare il pieno impiego dovrà attraversare un periodo di deflazione e recessione, durante il quale i prezzi e i salari dovranno diminuire. Insomma, la variazione del tasso di cambio reale di equilibrio. Il grado di integrazione pertanto limita la gravità della crisi comportando un aggiustamento meno costoso: un paese integrato commercialmente vedrà crescere la domanda dei propri beni a fronte di una piccola caduta dei propri prezzi da parte dei paesi dell’Eurozona e degli altri non appartenenti alla stessa.

Secondo, se il mercato del lavoro e quello dei capitali sono integrati, i lavoratori possono trasferirsi e i capitali muoversi. Un’ulteriore considerazione che rafforza l’argomento secondo il quale una maggiore integrazione limita la perdita di stabilità economica è quando il paese importa molto dagli altri paesi. Il fatto che ampie quote di importazioni da parte di questo paese dagli altri paesi dell’Eurozona, costituiscono un’ampia fetta dei consumi dei lavoratori del paese, implica che un deprezzamento del tasso di cambio peggiorando le ragioni di scambio, influisce notevolmente sui prezzi e sui salari riducendo qualsiasi impatto sull’occupazione. Solo quando l’integrazione economica supera un certo livello, l’adesione è quindi vantaggiosa. Nel caso di Argentina e Brasile riassumendo l’analisi sulla creazione di un’area valutaria ottimale, un’unione monetaria offre benefici netti ai relativi paesi se c’è mobilità dei fattori, se le loro economie sono fortemente integrate commercialmente e se sono piuttosto simili così da evitare shock asimmetrici. I dati ci dicono che le esportazioni del Brasile verso l’Argentina sono il 4%. Quelle dell’Argentina verso il Brasile sono, invece, il 15%. Le esportazioni brasiliane sono per gran parte manufatti e combustibili. Le esportazioni dell’Argentina sono sostanzialmente tutti beni agricoli. Ciò significa che shock di domanda mondiale porterebbero a forti variazioni nel tasso di cambio reale di equilibrio fissato dai due paesi. Tirando le somme si potrebbe dire che l’idea è sicuramente venuta in mente a qualcuno che di economia monetaria internazionale sa quanto il sottoscritto di uncinetto.

Marco Boleo




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