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17/01/2023
Il popolarismo di Luigi Sturzo
La politica senza etica non è politica, ma sopraffazione, mentre l'economia senza etica è diseconomia e prima o poi è destinata a fallire.

I capisaldi del popolarismo sono fissati nel famoso appello di Sturzo "A tutti gli uomini liberi e forti", del 18 gennaio 1919: in primis, realizzare gli ideali di giustizia voluti dal socialismo, ma senza il rispetto della libertà, e gli ideali di libertà voluti dal liberalismo ma senza giustizia; interclassismo; forte decentramento provinciale e regionale contro l'invadenza dello statalismo (termine sturziano). Purtroppo, dopo l'epoca degasperiana, la Democrazia cristiana, venne attratta dallo statalismo socialista, tanto che nel 1989 Ciriaco De Mita fece questo mea culpa: «La Dc ha un grande peccato. Il suo retroterra culturale è il popolarismo straziano, ma la nostra gestione del potere è in contraddizione con questo insegnamento». E’ bene osservare che il tentativo di creare nel Paese una società cristiana e allo stesso tempo socialista è fallito in presenza di due culture diverse e antagoniste, due culture che non potevano unirsi e funzionare, non avendo valori comuni. Se lo Stato diventa imprenditore, e se i partiti usano gli enti pubblici per finanziarsi, sono inevitabili fenomeni di corruzione, e si può affermare che quanto minore è il debito pubblico, quanta minore è la corruzione e quanto maggiore la giustizia sociale. La lungimiranza di Sturzo è davvero impressionante: aveva previsto che gli accordi di Bretton Wood, privilegiando il dollaro come moneta di riferimento, avrebbero avvantaggiato soltanto gli Stati Uniti, aprendo il conflitto tra economia finanziaria ed economia sociale di mercato, che avrebbe prodotto crisi fino a quella del 2008, non ancora assorbita; peraltro, aveva colto i vantaggi di una sana internazionalizzazione dell'economia (oggi diremmo della "globalizzazione"), che ha migliorato le condizioni di vita di tante zone del pianeta intrappolate dal sottosviluppo per mancanza di libertà politica ed economica. Nel 1928 Sturzo non condivideva i timori verso la crescente potenza del capitalismo internazionale e auspicava: «L'estensione dei confini economici precederà quella dei confini politici. Chi non sente ciò è fuori della realtà».

Come più volte si è detto la politica senza etica non è politica, ma sopraffazione, mentre l'economia senza etica è diseconomia e prima o poi è destinata a fallire. Oggi allora c’è bisogno di un ripasso e un approfondimento del popolarismo sturziano sarebbe per tutti di grande utilità, ma pesa l'assenza di un nuovo Luigi Sturzo o meglio il vero passaggio al popolarismo non è ancora avvenuto per lo stesso motivo di ieri: la mancanza di una classe dirigente adeguata al compito. Riforma costituzionale nel solco di Sturzo la centralità della persona, della famiglia, dei corpi intermedi, delle autonomie locali, e quindi della sussidiarietà, ha da sempre caratterizzato la visione dei cattolici italiani in politica, da Sturzo in poi. Quante volte si è ricordato questo filone di pensiero che - nei decenni, con esiti alterni e con interpreti non sempre all’altezza ha operato di converso per limitare un’eccessiva presenza dello Stato e in particolare dello Stato centrale. La Costituzione italiana è stata particolarmente capace di rappresentare tale visione, sia nei principi fondamentali che nella parte relativa ai diritti e ai doveri del cittadino, della famiglia, delle formazioni sociali, dell’impresa. Nonostante i tentativi di superare questa peculiarità, il bicameralismo è giunto fino a oggi. Infine, nella visione morotea, ad esempio, il ruolo futuro dell'Unione Europea, partiva dalla consapevolezza di uno scenario internazionale di crescente complessità e in rapido mutamento. Lo statista italiano aveva parlato all'assemblea generale delle Nazioni Unite, delineando il «grande disegno» che la Cee si assegnava: da un lato abbattere le residue «diffidenze e rivalità» fra i popoli delle nazioni coinvolte, causa di due guerre mondiali; dall'altro restare «aperta a tutti i popoli europei che si ispirano alla stessa concezione della vita politica e che intendano aderirvi». E subito dopo, chiedendo retoricamente se una simile opera potesse essere considerata «dannosa a qualcuno», aggiungeva: «La risposta è: no. Essa non è diretta, e non sarà diretta, contro alcun popolo, bensì contro la guerra, il peso degli armamenti, la fame e il sottosviluppo, contro l'iniquità, contro tutto ciò che è suscettibile di impedire i contatti liberi e fecondi fra tutti gli uomini».

In questa frase si compendia tutto l'afflato europeista e insieme universale di Aldo Moro, che in seguito fu confermato dai possibili legami tra le civiltà tra-europee, proprio perché la cultura è destinata a diventare parte integrante anche della politica comunitaria verso i Paesi emergenti, salvaguardare le diversità, contribuendo nello stesso tempo a integrarle in una più vasta appartenenza comune: essa ha infatti da un lato «un profondo ancoraggio popolare», che si nutre di lingue, tradizioni e storia «di ciascuno dei nostri Paesi»; ma dall'altro lato, per sua stessa natura, «rifiuta ogni forma di isolamento». La sola sintesi possibile è dunque tra «radice popolare ed universalità». Altrimenti non c'è cultura europea. Altro che sovranismi. Risuonano in quelle parole le ispirazioni ideali di Sturzo e La Pira, rielaborate al servizio di un progetto – l'Europa – che nessun terrorismo può distruggere. Purché si trovino oggi e in futuro nuovi cuori capaci di sostenerlo, ma vi sono buoni motivi per ritenere che la riforma costituzionale sia tracciata in continuità con l’insegnamento sturziano. I cattolici italiani possono avere fiducia sul fatto che questa riforma non mortifica il principio di sussidiarietà, ma anzi ne definisce meglio il tratto. Per Sturzo il perseguimento del bene pubblico non può essere separato dalle virtù individuali, stante l’essenza del rapporto fra la morale sociale e quella individuale, ma fu grande riferimento all’immagine dantesca delle 'tre male bestie' della politica: lo statalismo, la partitocrazia, l’abuso del denaro pubblico e in varie occasioni ha denunciato la mafia, la corruzione, il preferire il tornaconto personale al bene comune. Il bene comune - del quale sono elementi integranti la cultura, la moralità e la religiosità oltre che l’economia - è nella concezione di Sturzo un bene che deve puntare a uno sviluppo integrale delle persone.

Gilberto Minghetti




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