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25/11/2022
La manovra economica
Per curare i problemi sono necessarie riforme, non manovre.

Le elezioni politiche anticipate quest’anno hanno prodotto un curioso incrocio di politica di bilancio. La Nadef approvata dal Governo Draghi fornisce il quadro macroeconomico per i prossimi tre anni sia in termini tendenziali che programmatici, sul quale il Governo Meloni ha scritto la legge di bilancio (conosciuta semplicemente come manovra) in base alla quale viene valutata la coerenza dei saldi di finanza pubblica con le grandezze macroeconomiche e la sostenibilità a più lungo termine del debito pubblico. Per un’analisi sul DeF bisognerà attendere il testo definitivo e bollinato. Nel frattempo, due prime impressioni sugli annunci fatti in conferenza stampa sulla manovra: i) la trasformazione dei politici del centrodestra che in campagna elettorale avevano promesso che avrebbero speso centinaia di miliardi in barba alle regole di bilancio ed ai mercati finanziari in integerrimi funzionari del FMI è sembrata positiva. Visto che per ora i conti tengono; ii) nel provvedimento c'è poco per la crescita economica e vengono accentuate le sperequazioni: ad esempio il diverso trattamento fiscale tra lavoratori dipendenti e autonomi (a forte beneficio di questi ultimi); poche misure di contrasto della povertà (il reddito di cittadinanza andava riformato, e non sono esplicitate le misure alternative dopo la sua abolizione) ed una strizzatina d'occhio agli evasori. Una manovra, invece, è appropriata quando l’andamento di un sistema economico fondamentalmente in salute devia per circostanze imprevedibili dal suo normale andamento. In questo caso la manovra serve per correggere la deviazione, l’economia riprende il suo normale funzionamento e non sono necessari altri interventi. Se questo fosse stato il caso dell’Italia, alla prima manovra non ne sarebbero seguite altre per un lungo periodo di tempo.

Siffatti rituali, invece, si succedono non meno di una volta l’anno, e il fatto che debbano continuamente essere ripetuti dimostra che non riescono a correggere gli squilibri che avrebbero dovuto eliminare. I nostri problemi, infatti, non sono accidentali malfunzionamenti di un sistema economico in salute, sono invece la fisiologia di un sistema malato. Per curare i problemi sono necessarie riforme non manovre. Se l’esistente non funziona, non va gestito ordinariamente ma riformato. La parola ‘strutturale’ è quella chiave. Nel nostro paese si parla troppo di ‘congiuntura economica’, e le due cose sono in opposizione: la stabilità congiunturale prodotta tramite ‘azzardo morale’ (con iniezioni di spesa pubblica in deficit) ad esempio genera instabilità strutturale. Però i tagli e la riduzione di deficit e debito ad una cosa servono: a finanziare ciò che va fatto per risolvere i problemi strutturali (competitività, produttività, occupazione, fragilità finanziaria). Poi ci sono le riforme legali da fare che non si possono finanziare coi tagli: ristrutturazione di intermediari finanziari falliti, mercato del lavoro, semplificazione fiscale e burocratica, riforma delle pensioni in senso funded (vs paygo)... In Italia invece il sistema pensionistico viene gestito senza copertura patrimoniale; ovvero non viene attuato il principio della capitalizzazione integrale in quanto le obbligazioni sono coperte dalle entrate correnti (principio di cassa) e non dal patrimonio di previdenza derivante dall'accantonamento dei contributi obbligatori.

Marco Boleo




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