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08/02/2022
L'inflazione esplode
Sempre più italiani arrancano a sbarcare il lunario con salari che restano cristallizzati a decenni passati

La nostalgia della scala mobile degli anni Settanta e la conseguente spirale prezzi-salari che inghiottiva ogni recupero retributivo in un pozzo senza fondo è una immagine che, dalla svolta dell'Eur del '78, fece capire che il salario non può essere una ‘variabile indipendente’. Ma nel Paese dei working poor, del part-time involontario, del lavoro nero o sottopagato e degli stipendi falcidiati dalla cassa integrazione, non è più possibile considerare neanche l'inflazione come una variabile indipendente: esiste e va affrontata a livello fiscale e contrattuale una nuova e immanente questione salariale. L’aumento vorticoso dei prezzi, con l'impatto devastante sulle buste paga, è stato l'incubo per intere generazioni di lavoratori e di sindacalisti tra gli anni Settanta e la metà degli Ottanta, quando con il referendum sulla scala mobile di Bettino Craxi e Gianni De Michelis si diede una drastica sterzata alle spinte inflazionistiche e si riuscì ad avviare quella svolta che portò alla politica dei redditi di inizi anni Novanta promossa da Carlo Azeglio Ciampi. Ebbene, a distanza di quasi un trentennio, l'incubo si ripresenta e così oggi ci troviamo in una vera trappola delicata e complessa da disinnescare: da un lato, il caro energia e materie prime che, nel contesto della pandemia, finisce per stritolare le imprese, dall'altro, l'impennata dei prezzi che manda in fumo un pezzo di salario, di per sé già basso per la moltiplicazione di formule e derive che lo soffocano. Una curva quasi impossibile da affrontare solo con le consuete armi della contrattazione sindacale, perché, se da una parte è del tutto evidente che serve un adeguamento delle retribuzioni nei nuovi accordi collettivi, dall'altra è altrettanto vero che non si può correre il rischio di mettere in ginocchio l'attività imprenditoriale.

Mai come in questo passaggio ci vuole un intervento di politica fiscale che determini un taglio netto del costo del lavoro a vantaggio dei lavoratori e, principalmente, di coloro che hanno stipendi più bassi o che addirittura sono sottopagati. Mario Draghi c'era nel 1992 e c'è oggi: chi meglio di lui può mettere mano alla urgente pratica, ma serve che lo faccia il prima possibile. I prezzi sono alle stelle e gli stipendi al palo, già lo abbiamo anticipato più volte, ma anche l'inflazione vola, con l'incremento del 4,8% a gennaio, il più alto dal 1996, e le famiglie diventano ancora più povere. L'energia fa così da combustibile alla ‘fiammata’, nonostante i tentativi messi in campo per calmierare le tariffe e gli annunci di nuovi interventi per circa 5 miliardi. La realtà emerge drammatica e con questi numeri e trend la ripresa vera potrebbe essere a rischio. Sempre più italiani arrancano a sbarcare il lunario con salari che restano cristallizzati a decenni passati e non risolvono la vita negli anni del Covid e dei suoi paradossi economici. Il mondo del lavoro attraverso i sindacati si adopera per aprire la questione salariale, chiedendo un adeguamento dei trattamenti al costo della vita e i prossimi rinnovi che dovranno tenere conto del taglio del potere d'acquisto dei salari in via di peggioramento causa il rialzo dell'inflazione e quello dei costi dell'energia, ma bisognerà fronteggiare l'inflazione, favorire la crescita salariale, arrestare la corsa dei prezzi dell'energia che sta schiacciando il potere d'acquisto delle famiglie e mettendo in ginocchio centinaia di piccole imprese. Non solo l'inflazione si sta mangiando i salari, ma oggi chi lavora è povero.

Nei giorni scorsi, d'altronde, l'istituto di statistica aveva già lanciato un chiaro allarme e sullo squilibrio tra prezzi e retribuzioni: nel 2021 la crescita delle retribuzioni contrattuali orarie si è fermata allo 0,6% annuo, rimanendo in linea con quella del 2020. A pesare sulla tenuta salariale rispetto al costo della vita è la corsa dell'inflazione che nell'anno alle spalle ha toccato una media dello 0,9%. Una velocità tripla. Infine, alla luce della dinamica dei prezzi al consumo, in forte accelerazione nella seconda metà dell'anno e pari a circa tre volte quella retributiva, si registra anche una riduzione del potere di acquisto. L'Istat delinea un quadro in cui il Covid è ancora protagonista assoluto: la conseguenza clamorosa è stato il boom dei prezzi della bolletta, per le famiglie e per le imprese. La somma degli effetti diretti e indiretti potrebbe mettere a rischio la ripresa economica. Ma se si dovesse consolidare un trend dei prezzi di consumo di questa ampiezza, dal punto di vista della crescita, siamo di fronte a un elemento non più sano, che può avere conseguenze negative, da vari punti di vista, sull'andamento dell'economia. Insomma, un rialzo stratosferico e disastroso: una vera Caporetto per le tasche delle famiglie, che rallenterà la ripresa in corso, per colpa dei minori consumi, indispensabile per far fronte all'impennata dei prezzi. L'inflazione a 4,8% significa un aumento del costo della vita sui 1.700 euro su base annua per una famiglia media e non parliamo del lusso, ma della sussistenza: solo per mangiare gli italiani si ritrovano oggi a spendere 285 euro in più a famiglia su base annua, a causa dei rincari registrati nel comparto, in aggiunta al pesante impatto della voce 'trasporti' (+7,7% a gennaio) - che determina un aggravio di spesa sugli spostamenti pari a +416 euro annui a nucleo. Un «massacro» per le tasche degli italiani secondo gli esperti del Codacons, senza che per il momento vi sia in campo più di un annuncio e di una promessa, ma si attendono nuove misure in arrivo.

Gilberto Minghetti




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