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07/02/2022
Le sfide del nuovo popolarismo
La strada da imboccare, senza schemi preconcetti e lasciando sullo sfondo la chiacchiera politicista, non può che essere sturziana

Alte e nobili parole per affari bassa cucina, probabilmente. Attori ben poco seri, quasi loro malgrado, però, pongono questioni che serie lo sono. Dalle parti del centro-destra che fu, polverizzato dalla “folle settimana quirinalizia” che ha portato alla riconferma di Mattarella al Colle e immobilizzato Draghi a Chigi, sono giorni che si evocano soluzioni aggreganti o di consensuali separazioni (la sensazione è che il divorzio sia accettato da tutti, qualcuno perseguendolo furbescamente in nome dell’unità) nel segno delle “culture politiche” un tempo maledette. Se si volesse metterla davvero a tema, la questione sarebbe interessante davvero. Matteo Salvini vuol fare l’americano, più prosaicamente esprimere il dissenso rispetto a una riforma elettorale proporzionale che ne consacrerebbe la marginalità, evocando una reunion sotto le insegne fusioniste e plurali di un Partito repubblicano nostrano (trumpista?). Da parte dei lidi forzisti e centristi (ma non tutti), sodali nell’avventura governativa e primi destinatari dell’invito, declinadolo, si risponde brandendo il mai troppo esibito e amato vessillo del Partito Popolare Europeo (dopo averlo frettolosamente recuperato in qualche soffitta o cantina). Stesso riferimento viene dagli alfieri del neocentrismo autonomo, per necessità costretti a dirsi anche un po’ liberali e un po’ macroniani (ha molti petali - e non tutti ben assemblati - la nuova Margherita). Giorgia Meloni e i suoi Fratelli d’Italia, che del centrodestra senza trattino vogliono farsi unici interpreti, rispondo confermando la loro “svolta conservatrice”.

Tante idee e ben confuse. Una sola certezza: in questa nuova stagione, sovranismo e populismo non si portano più (meglio riporli nell’armadio, dove basta la giusta dose di naftalina per ritirarli fuori quando saranno utili alla bisogna). La faccenda ha una consistenza reale, però, al di là di chi la introduce in campo: questo è il tempo delle “culture politiche”. Il draghismo di necessità, che non è certo affatto si chiuda con la legislatura, ha determinato una “distruzione creatrice” del quadro politico. Toccherebbe davvero chiedersi, quindi, in forza di quali identità e pensiero modulare una nuova offerta partitica. Guardando a quanto più ci preme, l’identità e il pensiero popolare, possiamo lanciare qualche spunto di metodo. Su queste colonne virtuali, specchio di un lavoro continuo sul tema della fondazione di cui sono voce, dell’indispensabilità della costruzione di una nuova fase dell’europopolarismo in Italia abbiamo costantemente scritto anche quando pareva solo un esercizio di stile vintage. Di certo non si è sbagliato, anche andando oltre il montare di guardia ai confini delle “grandi coalizioni” reattive e relativiste mainstream, nell’elaborare pensiero (e proposte) in un alveo che secco poteva apparire solo a sterili sedicenti novatori. Il nuovo popolarismo, però, non può certo essere la sommatoria di vecchi schemi e perdersi intorno a vetuste contrapposizioni dei soliti noti. La strada da imboccare, senza schemi preconcetti e lasciando sullo sfondo la chiacchiera politicista, non può che essere sturziana: un federare dal basso, con un occhio al civismo diffuso, le esperienze “di base” che realmente e lealmente danno futuro a una tradizione che non ha perso la propria capacità generativa. Il resto è “molto rumore per nulla”.

Marco Margrita




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