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02/02/2022
Il futuro dell’Unione Europea tra ristagno, ripresa e inflazione
Le prossime azioni politiche della BCE dipenderanno da come verranno risolte le incertezze, in particolare per quanto riguarda l'andamento dell'inflazione.

Quali sono gli scenari macroeconomici di medio termine che potrebbero prevalere dopo che l'impatto della pandemia da Covid-19 si sarà attenuato. Un quesito che bisogna porsi. Nel pensare al futuro operato della BCE, infatti, è utile comprendere quali saranno gli scenari macroeconomici probabili per il domani. La stagflazione (il contemporaneo aumento dell'inflazione e riduzione della crescita economica) sembra essere la nuova preoccupazione in Europa ed in molte altre aree del mondo. Tre possibili andamenti sono all’orizzonte: 1) ci si incammina su un percorso di crescita e inflazione più elevate, diciamo del 2,0-3,0%; 2) si ha un ritorno alla situazione pre-Covid, con crescita e inflazione dell'UE all'1,0-2,0%; 3) si sperimenta un passaggio alla stagflazione, nel quale crescita e inflazione non si muovono più nella stessa direzione: con un'inflazione, ad esempio, superiore al 3,0% e una crescita inferiore all'1,0%. Il primo scenario è, sotto alcune condizioni, il più attraente. Visto che se il controllo delle spinte inflazionistiche da parte della banca centrale è più efficace di quello delle tendenze deflazionistiche. La BCE in questo caso potrebbe contrastare l'inflazione inasprendo la politica monetaria ed evitando una recessione. Il secondo scenario è il meno brillante, ma non peggiore di quello che abbiamo sperimentato nell'ultimo decennio o giù di lì. Nel caso si palesino i dubbi sulla scarsa capacità della politica monetaria di combattere un'inflazione troppo bassa (l’esperienza passata insegna), infatti, questa situazione potrebbe durare a lungo: con la BCE che continuerà nel suo tentativo di raggiungere il 2% prima di rendersi conto che ciò non sia possibile.

Il terzo scenario, infine, è quello più preoccupante, con i due “cattivi”: elevata inflazione e crescita bassa o negativa, e la banca centrale irretita in un dilemma su quale “cattivo” combattere. Pertanto per capire cosa potrebbe fare la BCE, è utile accertare quale scenario macroeconomico di medio termine è ritenuto più probabile nelle previsioni delle Istituzioni ufficiali e dei previsori privati. La maggior parte non lanciano alcun allarme imminente sull'inflazione, considerando l'andamento dei salari finora modesto. Tuttavia bisogna prestare attenzione ad una possibile sequenza di eventi negativi: se l'inflazione iniziasse ad essere volatile e la crescita della base monetaria creata dalla BCE rimanesse elevata, gli sforzi per controllare l'inflazione potrebbero essere vanificati. Il Pil, invece, dovrebbe tornare in un paio d'anni molto vicino all’andamento pre-Covid. C’è insomma una differenza tra le conseguenze delle recessioni provocate dalla crisi del 2008 e da quella in corso. La prima è stata causata da shock endogeni generatisi nel settore finanziario, mentre quella attuale è del tutto esogena e quindi suscettibile di essere superata quando lo shock esterno si sarà dissipato. Trovo convincente l'idea che ancora nel 2022, salvo notizie negative su Covid-19 a causa della variante Omicron o di altre, la crescita potrebbe essere molto superiore al potenziale tra il 4 e il 5%, prima di stabilizzarsi ad un 2%. Quindi, per riassumere, viene considerato remoto il rischio di stagflazione: il verificarsi congiunto di una crescita molto bassa o negativa e di un'inflazione sostenuta. Mentre c’è meno fiducia sulla parte "flazione": c’è meno ottimismo rispetto agli economisti della BCE sul fatto che l'inflazione sarà inferiore all'obiettivo nel 2023 e nel 2024. Alla luce di ciò resta da interrogarsi su quali saranno le probabili mosse della BCE.

Un argomento ricorrente nei documenti delle principali Istituzioni economiche internazionali sulla situazione attuale è quello di rimarcare l'eccezionale incertezza prevalente al momento della loro stesura. Naturalmente, poiché queste lamentele sono divenute assai frequenti, l'incertezza non può essere sempre così eccezionale come si pretende che sia. Tuttavia, se c'è un momento in cui questa osservazione è vera, questo è quello che stiamo vivendo. I recenti sviluppi economici sono stati praticamente senza precedenti e le previsioni economiche non va dimenticato si basano fondamentalmente sugli andamenti sperimentati in passato proiettati in avanti. Per dirla con altre parole, potremmo dire che le proiezioni verso il futuro sono più nel campo delle ipotesi che delle previsioni. Omicron è l'ultimo fattore di incertezza, ma c'era grande incertezza anche prima: l'attività economica ha sorpreso al rialzo, sia negli Stati Uniti che in Europa, nel 2021, ma lo slancio si sta un po’ affievolendo e si teme che i timori della recrudescenza della pandemia influenzeranno l'offerta per gli anni a venire. L'inflazione è più alta che negli ultimi anni, anche molto più alta ad esempio negli Stati Uniti, in Germania e nell'Eurozona, ma i Banchieri Centrali, la maggior parte delle Istituzioni internazionali e gli analisti economici privati si aspettano a breve un ritorno a livelli più contenuti. Abbiamo i grandi progressi del programma ‘Next Generation EU’, ma c'è una certa ansia in Italia sulla sua implementazione. Le prossime azioni politiche della BCE dipenderanno da come verranno risolte queste incertezze, in particolare per quanto riguarda l'andamento dell'inflazione. Lo scenario centrale, derivato dall’analisi dei documenti delle Istituzioni internazionali, è quello di un ritorno, a partire dal prossimo anno (2023), alla situazione pre-covid per quanto riguarda la crescita: tra l'1 e il 2%, mentre l'inflazione potrebbe essere di poco superiore al 2%.

Nel caso questa aspettativa si consolidasse nel corso del 2022, penso che gli acquisti netti di titoli del debito sovrano dei singoli paesi, da parte della BCE saranno interrotti verso la fine di quest'anno, unitamente ad un lieve aumento dei tassi sui depositi. Noto qui, a margine, che l'1,8: l'inflazione percentuale prevista dalla BCE per il 2023 e il 2024 sarebbe effettivamente coerente con l'obiettivo del 2% una volta aggiunti i costi di proprietà dello 0,2-0,3%, come indicato dalla BCE nell'ultima revisione della strategia. Questo punto è emerso durante l'ultima conferenza stampa della Presidente Lagarde, ma quest’ultima lo ha ignorato mentre il capo economista Philip Lane non lo ha menzionato nella sua recente intervista a un quotidiano finanziario italiano. Credo anche che la BCE si muoverebbe in qualche modo nella sua ‘forward guidance’ (annuncio della strategia che seguirà con l’intento di influenzare le aspettative di consumatori e imprese) controllando la curva dei rendimenti dei titoli. Non nel senso che punterebbe a un livello specifico per un rendimento a lungo termine con i suoi acquisti, ma piuttosto che darebbe un'indicazione che gli acquisti potrebbero essere riavviati se i tassi aggregati o gli spread tra i titoli di Stato dei singoli paesi si discostassero da livelli coerenti con gli sviluppi macroeconomici o minacciassero la trasmissione omogenea della politica monetaria nell'Eurozona. Gli aumenti dei tassi continuerebbero nel 2023, allontanandosi finalmente dai tassi negativi. Ci si può chiedere se le condizioni di indebitamento di alcuni paesi dell'Eurozona non costituiscano un ostacolo a questa graduale normalizzazione della politica monetaria. Non ho una visione definitiva su questo.

Posso, tuttavia, fare alcune osservazioni rilevanti, che vanno nella direzione rassicurante piuttosto che preoccupante: i) In primo luogo, è improbabile che la BCE si astenga dal fare il necessario per controllare l'inflazione aggregata a causa della situazione fiscale di un paese membro; ii) in secondo luogo, ci sono forti incentivi affinché paesi come l'Italia facciano ciò che è necessario per mantenere la sostenibilità del debito e un adeguato accesso al mercato, vale a dire rispettino gli impegni di riforma assunti nel quadro del programma ‘Next Generation EU’; e iii) in terzo luogo, c'è ottimismo sulla situazione fiscale dell'Italia, dato dalla combinazione di una scadenza media abbastanza lunga del debito sovrano e di un livello eccezionalmente basso dei rendimenti da cui potrebbe partire qualsiasi aumento. Nel complesso, il mio scenario centrale è in qualche modo più restrittivo di quello immaginato dalla BCE, in particolare dal capo economista Philip Lane. Naturalmente, se si concretizzassero i timori per un'inflazione più vivace, l'inasprimento della politica monetaria sarebbe accelerato, lo stop agli acquisti di titoli potrebbe arrivare prima della fine dell'anno e la prospettiva di un aumento dei tassi di interesse nel 2022 diventerebbe più probabile. Sarebbe vero il contrario se l'inflazione fosse vista in decelerazione al di sotto del 2,0% nel 2023, come previsto da Philip Lane. In questo caso verrebbe confermata l'aspettativa dello stesso Lane e della Presidente Lagarde di nessun aumento dei tassi di interesse nel 2022 mentre gli acquisti netti potrebbero proseguire fino alla fine di quest'anno e possibilmente per qualche mese in più.

Marco Boleo




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