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31/01/2022
Quirinale fuori dall'impasse, stabilitĂ  per il cambiamento
Non si tratta solo di rimarginare le ferite della pandemia, ma di essere all’altezza di una competizione internazionale resa assi complessa dalla globalizzazione.

Alla fine si è trovata una via di uscita con la elezione-proroga di Sergio Mattarella, a suo tempo eletto da uno schieramento, ma che ha saputo essere  il Presidente di tutti. Una decisione necessaria e adeguata, tuttavia giunta con affanno    alla ottava votazione mostrando crepe insanabili ed errori, accolta dall’interessato ricevendo i capigruppo e non i segretari di partito, a sottolineare una distanza rispetto a  come si erano sviluppati gli eventi.  L’utile corollario – non certamente secondario – è la stabilità del governo che oltre a Mario Draghi vedrebbe confermata per intero la squadra attuale.  In sintesi , dopo questa pagina scritta male, si può ricominciare a lavorare. Tutto bene, quindi Purtroppo non è così. Assai più che negli avvenimenti e nella confusione che condusse, a suo tempo, alla richiesta di conferma di Giorgio Napolitano nel 2013, le forze parlamentari hanno mostrato di essere impossibilitate ad eleggere un Capo dello Stato. Soprattutto incapaci sia di costruire un vasto accordo, probabilmente più idoneo negli attuali frangenti, oppure, come era avvenuto in altre circostanze,  dare vita ad un lungo  confronto di politica, come ad esempio nel 1962 quando si scontrarono due candidati, politicamente di alto profilo,  Saragat espressione del socialismo democratico e Segni anima del moderatismo democristiano.

Si è, poi, avuta la sensazione che la maggioranza che attualmente  sostiene il governo Draghi e che era stata invocata come base per la scelta del muovo inquilino del Quirinale,  venga subìta più come una imposizione, per necessità,  che come ambito politico esemplare, idoneo a promuovere convergenze e sollecitazioni unitarie nel difficile corpo politico del Paese. Per la verità, all’interno dei cosiddetti schieramenti e in quasi tutte le  stesse forze politiche che li compongono, convivono disegni, ambizioni, progetti differenti e contrapposti. E il terreno viscido e importante della elezione del Capo dello Stato ha rappresentato anche il luogo nel quale, come si dice, avvengono le prove per   mettere a terra nuovi progetti politici, ovviamente a forte caratura personale. L’esempio più evidente di ciò che si è inteso sperimentare è quanto previsto e portato avanti da Matteo Renzi per la costruzione di un nuovo centro che si possa presentare come equidistante dagli schieramenti di destra e di sinistra, ma che, nella realtà, si muoverebbe in funzione di un diverso centrosinistra, rispetto a quello attuale, incerto e senza futuro, a composizione Pd, M5S e Leu.

Ciò spiega la candidatura dello sperimentato Pierferdinando Casini,  indicata molto tempo prima dal senatore di Scandicci,  la  disponibilità di Enrico Letta, la decisione presa da Forza Italia e centristi vari di proporre la candidatura dell’ex Segretario dell’UDC, per accelerare la quale sono stati fatti mancare i 60 voti a Elisabetta Casellati,  frettolosamente   proposta, ma ancor più cinicamente maltrattata. Non vi sono dubbi che tale progetto  è potuto arrivare vicino alla sua realizzazione, con la tentata elezione di  Casini, anche per il modo banale con il quale sono state portate avanti le trattative, compito difficile e rischioso che  Matteo Salvini si è voluto intestare, ma che   di fatto hanno agevolato l’ astuta opera di logoramento messa in atto dal segretario del Pd, con la lunga serie dei no. Oltre che, naturalmente, approfittando di una  posizione, come quella della leader di FdI Giorgia Meloni che si è ovviamente sempre sentita al di fuori del campo di maggioranza  con la inutile ed insistente richiesta di elezioni, per il cui obbiettivo, era arrivata addirittura ad ipotizzare la disponibilità a far sedere  al colle più alto il premier Draghi.

In sintesi, in questa disarticolazione sostanziale del centrodestra, Matteo Renzi ha avuto facile gioco nel fare le prove per costruire e porsi alla guida di quella formazione di centro che sopravviverebbe al postBerlusconi e avrebbe avuto come faro un Quirinale con un presidente politico. Infatti  pochi hanno notato che, al di là delle numerose personalità di alto profilo, tuttavia non politiche, l’unica ad averne uno solo o prevalente  politico, giunta a lambire il traguardo, è stata quella dell’esponente centrista a cui il preveggente Renzi da segretario del Pd aveva offerto,  nel 2018, un collegio senatoriale nella fortezza bolognese. Comunque, nella condizione data, si può sentenziare, come sia buono ciò che finisce bene. Tuttavia resta il problema di fondo che si può sintetizzare con questa domanda : la confermata  stabilizzazione del quadro istituzionale e  politico a cosa dovrà corrispondere? Innanzitutto a completare la realizzazione delle riforme strutturali del Paese e la piena acquisizione dei fondi del PNRR con il decollo dei progetti ed il definitivo superamento delle ferite e dei danni della pandemia. Questa è la missione del Governo Draghi alla cui azione i partiti devono collaborare.

 La condizione del Paese anche nei suoi fondamenti istituzionali e nella sua complessiva funzionalità richiede un grande cambiamento. Non si tratta solo di rimarginare le ferite della pandemia, ma di essere all’altezza di una competizione internazionale resa assi complessa dalla globalizzazione.   Forse con l’attuale premier, uomo tra i più accreditati a misurarsi sulla scena internazionale,  insediato per sette anni al vertice dell’Italia,  l’opera di riscatto del Paese avrebbe potuto avere una  più lunga gittata e garanzia. In vista delle elezioni politiche del 2023, peraltro,  tira una aria di rivalsa e di aspettativa dei partiti per un  rilancio del loro potere decisorio, attualmente ridimensionato. Quelle elezioni potrebbero determinare instabilità o una nuova inadeguatezza di conduzione politica ed a questo punto  è ipotizzabile che difficilmente si potrà contare sulla continuità di Draghi  che a quel tempo potrebbe assumere un ruolo europeo. Ed allora si può arguire che la stessa  missione di Mattarella non avrà la limitatezza e la provvisorietà del secondo mandato di Giorgio Napolitano. Continuerà più a lungo di quanto non si sia ipotizzato. Vi è infine una questione, non ancora considerata, nella sua importanza e che, invece, rappresenterà il nodo politico più rilevante di quest’ultimo anno di legislatura: la riforma della legge elettorale.

Anche questo ineludibile passaggio presenta una ambivalenza. Certo in una condizione di frammentazione delle forze politiche potrebbe sembrare paradossale proporre una legge elettorale proporzionale. Infatti ci si potrebbe domandare – e al momento resta un mistero -   come le divisioni, palesi o coperte,  di questi giorni che hanno raggiunto l’impotenza a eleggere il Presidente della Repubblica,  potrebbero trovare una maggiore possibilità di composizione con una suddivisione proporzionale della rappresentanza parlamentare. Ovvero essa potrebbe avvenire a quella condizione politica esistente e che caratterizzò il percorso dei  primi decenni della Repubblica. In quegli anni, infatti, il sistema elettorale proporzionale fu in funzione di una rappresentanza che  trovava in un grande disegno politico di crescita della partecipazione  e di allargamento della base della democrazia il suo elemento di coagulo. Il centrismo degasperiano con i partiti risorgimentali, il centrosinistra e l’incontro con i socialisti, la solidarietà democratica e la preparazione della democrazia compiuta,  nobilitavano il proporzionale mantenendolo in funzione di un disegno politico. Inoltre erano gli anni nei quali vigeva l’assioma di Costantino Mortati secondo cui i partiti rappresentavano la “Costituzione materiale” dell’Italia. Quale possa essere l’elemento storico politico  che renda riammagliabile la ulteriore  frammentazione che comporterebbero le nuove regole proporzionali non è dato di conoscere. La condizione di oggi, peraltro, non ci consente  neppure di  ipotizzare come l’attuale classe politica e gli  stessi partiti siano in grado di interpretare questo compito.

 

Pietro Giubilo

 

 

  

 

 

 

 

 

 

 




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