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26/01/2022
Ripartiamo dalla comunità
E’ giunto il tempo per riscoprire la nostra storia e lasciare che essa ci aiuti a costruire una strada che sia solo nostra

Stretti nella morsa della pandemia e saltellando tra le nevrotiche regole che ambiscono alla nostra salvezza, con le orecchie assordate dal rullo dei tamburi che risuona nel confine tra Ucraina e Russia, segnati da una sempre maggior preoccupazione per la tenuta sociale e il futuro economico, ci chiediamo dove guardare per poter ripartire. Che qualcosa si sia inceppato è evidente non solo nelle grandi questioni politiche, ma soprattutto nella prosaica vita quotidiana in cui si avverte la dolorosa sensazione di una comunità incapace di farsi sentire, di essere protagonista vera della vita del paese. La comunità, quell’insieme di persone, di associazioni, di imprese, di aggregazioni di vario tipo e natura che costituiscono il nerbo del nostro paese e che del nostro paese sono il vero valore aggiunto e ne rappresentano il vantaggio competitivo, deve essere il luogo da cui ripartire. Occorre una visione che, riprendendo il tanto declamato quanto vilipeso principio di sussidiarietà, sia in grado di rimettere la nostra comunità al centro e di darle la possibilità di esprimere tutta la sua forza propulsiva. Non è niente di nuovo, è qualcosa che conosciamo, che abbiamo già vissuto, è quella visione popolare che ha segnato in modo indelebile sia la nostra democrazia che il nostro continente unito. Non si tratta di affermare ideologicamente una dottrina, né di rispolverare gloriosi santini, ma di riscoprire lo sguardo che ha permesso di tenere insieme una società ferita e fatta a brandelli e ridarle un nuovo slancio. Quello che oggi dovrebbe preoccuparci di più non sono i problemi, quelli ci sono sempre stati e generazioni precedenti alla nostra ne hanno affrontati di più gravi, ma la mancanza di una proposta che sia qualcosa di più di qualche rabberciato slogan.

La dialettica che per sua natura punta alla sopraffazione violenta, nelle parole come nei gesti, deve essere superata per riscoprire la bellezza e la grandezza del confronto tra opinioni e visione diverse capaci di vivere insieme, perché l’unità, cosa diversa dall'unanimità, è un valore da perseguire. Per far questo occorre, però, dare spazio alle nuove generazioni, permettere che una nuova classe dirigente si affermi. Il problema della classe dirigente non è solo anagrafico - se è vero che non tutti i vegliardi sono saggi è altrettanto vero che non tutti i giovani sono brillanti -, né di formazione, ma è una questione che riguarda la conoscenza della vita reale della società e delle persone. Troppo spesso abbiamo la sensazione che non ci sia corrispondenza tra quello che viviamo e le grandi scelte che ricadono su tutti noi, che sembriamo essere soggetti passivi, o più propriamente vittime, di scelte altrui. Erroneamente crediamo che questo gap possa essere superato da delle procedure, da nuove regole, mentre proprio le procedure e le regole rischiano di diventare nuove gabbie dalle quali guardare la vita che passa. E’ giunto il tempo per riscoprire la nostra storia e lasciare che essa ci aiuti a costruire una strada che sia solo nostra, che, senza cedere alla nostalgia, sia in grado di dare nuove risposte a un mondo sempre più alla ricerca di un senso ormai smarrito. Perché, per citare un capolavoro di Primo Levi, se non ora, quando?

Giovanni Gut




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