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14/01/2022
Debito pubblico e crescita del Pil
Risulta necessaria una politica di bilancio restrittiva, fatta di controllo della spesa pubblica o, in mancanza di tagli a quest’ultima, aumenti della tassazione

Durante l’usuale conferenza di fine anno, il Presidente del Consiglio Mario Draghi ha sostenuto che “Dal debito pubblico alto si esce con la crescita, essenzialmente con la crescita.” Prima di analizzare la veridicità di questa affermazione che a prima vista sembrerebbe corretta conviene partire dall’algebra del debito. La formula approssimata che governa l’andamento del debito pubblico è la seguente Dd = (r - g)d - a, nella quale Dd indica la variazione del rapporto fra debito pubblico e Pil, r è il costo medio del debito (gli interessi medi pagati sullo stock di debito pubblico in circolazione), g è il tasso di crescita nominale del Pil, d il rapporto debito-Pil in essere mentre a è il saldo fra entrate fiscali e spesa pubblica al netto della spesa degli interessi, che può essere sia positivo che negativo. Nel caso a avesse il segno positivo si è in presenza di un avanzo primario. In caso contrario si ha un disavanzo primario. Osservando i segni davanti alle variabili risulta chiaro che Dd diminuisce se il tasso di crescita nominale del Pil [g] è superiore all’interesse medio pagato sui titoli del debito pubblico in circolazione [r] e se vi è un avanzo primario ovvero se le entrate fiscali sono superiori alla spesa pubblica decurtata dalla spesa per interessi.

Alla luce di questa dinamica si comprende che l’ottimismo del Presidente del Consiglio Mario Draghi si basa sull’adozione nell’analisi solo di una parte della formula che esprime la dinamica del debito. In altre parole se durante i mesi a venire la spesa pubblica al netto della spesa per interessi sarà superiore alle entrate fiscali la variabile a nella formula approssimata invece di avere davanti il segno negativo (contribuendo alla riduzione di Dd) lo avrà positivo e non costituirà un fattore di freno alla crescita del debito pubblico. Il punto quindi e riassumendo è abbastanza chiaro: l’evidenza empirica tratta da esperienze di nazioni quali gli Stati Uniti, il Giappone e la Germania e la formula della dinamica del debito non avvalorano la tesi di Mario Draghi che un paese sviluppato come l’Italia possa ridurre il debito pubblico come percentuale del Pil solo attraverso la crescita economica. Risulta necessaria anche una politica di bilancio restrittiva, fatta di controllo della spesa pubblica o, in mancanza di tagli a quest’ultima aumenti della tassazione. In assenza di tutto ciò difficilmente si potrà avere una diminuzione dello stock di debito pubblico. Altra incognita è che l’ottimismo del Presidente Draghi si fonda sul perdurare in futuro di un tasso di crescita superiore a quello sperimentato negli ultimi decenni: evento poco probabile continuando con le stesse politiche economiche.

Una domanda a questo punto bisognerebbe porsela: perché il Presidente Draghi pur sapendo di fare affermazioni parzialmente vere si presta a questo gioco. Una ragione potrebbe essere che in una situazione come quella attuale, se il Governo si ponesse il problema dell’esplosione del debito pubblico le difficoltà economiche che ne deriverebbero, in seguito a manovre di rientro, sarebbero tali da creare una instabilità politica, economica e sociale assolutamente da evitare. Avanti pertanto con ottimismo continuando a fare ulteriori scostamenti di bilancio. Con la speranza che l’ombrello della BCE continuerà a proteggerci con le sue politiche di assistenza e che in futuro verranno adottate a livello europeo delle operazioni di ingegneria finanziaria che consentano ai paesi ad elevato debito pubblico di stabilizzarne la crescita senza far ricorso a draconiane politiche di austerità. Vi sono già delle proposte sul tavolo. Nei prossimi articoli cercheremo di darvene conto.

Marco Boleo




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