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12/01/2022
Per fermare i venti di guerra in Ucraina trattativa senza l'Europa
Ancora una volta gli eventi segnalano il problema, ormai diventato non più procrastinabile, di una unitaria politica estera e di difesa dell’Europa.

Aperti a Ginevra i colloqui tra Stati Uniti e Russia sulle prospettive di pace per l’Ucraina. Si tratta, indubbiamente, di un primo risultato della telefonata di fine anno tra Biden e Putin che ha chiarito quali siano le “linee rosse” che ciascuno dei due intende tracciare per evitare che la situazione possa diventare incontrollabile e determinare un conflitto con diversi e incalcolabili gradi di intensità. Da un lato Washington intende confermare una presenza NATO nei Paesi ex Patto di Varsavia e ritiene che l’Ucraina, come altri Paesi, debbano essere sovrani nel decidere delle proprie alleanze; la Russia osserva, da parte sua, che, qualora Kiev aderisse alla NATO, subirebbe un intollerabile, ulteriore avvicinamento delle armi occidentali rispetto al suo territorio. A ciò si aggiunge che Putin accusa, in specie l’Ucraina, di violare e non attuare anche l’ulteriore ed ultimo accordo, sottoscritto nel luglio 2020 tra i due contendenti e l’OSCE sotto l’influente diplomazia di Angela Merkel, che confermava gli atti di pace di Minsk I e II che, dal settembre 2014, avevano stabilito una tregua tra l’Ucraina, la Russia, le Repubbliche Popolari di Donetsk e di Lugansk, sempre sotto l’egida dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa. E’ difficile stabilire con esattezza le responsabilità complessive di questa mancata attuazione degli accordi, ma la sensazione è che l’Ucraina sembra essere diventata il punto di caduta di un conflitto geopolitico tra Occidente e Russia che continua oltre il crollo del comunismo e lo sgretolamento del sistema sovietico e la stessa fine della guerra fredda tra Usa e URSS. Ed è, probabilmente, questo nodo storico-politico che non si scioglie, la motivazione del non rispetto della promessa del Segretario di Stato James Baker a Mikhail Gorbaciov, all’indomani della caduta del muto di Berlino, di “non spostare la giurisdizione della Nato di un solo pollice verso Est”, qualora il leader sovietico “fosse favorevole alla riunificazione tedesca”.

Accordo, del resto, mai formalizzato. Probabilmente è proprio questa costante geopolitica, rispetto alle vicende degli ultimi anni, alla base della recente e rinnovata tensione tra Kiev - accusata di continuare a contrastare le due repubbliche del Donbass, - e Mosca, con le migliaia di soldati a pochi chilometri dal confine ucraino. E’ stato vanificato il lungo lavoro diplomatico svolto da Berlino e Parigi per disinnescare i rischi di un conflitto maggiore e, comunque, per tentare di contribuire a normalizzare i rapporti dell’Europa Occidentale con la Russia. Angela Merkel era arrivata a dichiarare nel maggio del 2017: “vorrei che ci fossero le condizioni per togliere le sanzioni alla Russia”. Invece la situazione è andata logorandosi, fino a precipitare, negli ultimi mesi, facendo spirare venti di un più allargato conflitto, tra reciproche accuse di “voler lanciare una operazione militare nel Donbass” e “ prepararsi ad invadere il territorio ucraino”. Venti di guerra giungono anche dai problemi che riguardano le forniture energetiche tra Russia ed Europa, con il blocco del gasdotto North Stream 2, ma anche dalle difficoltà degli altri paesi confinanti con Mosca, in quanto, storicamente, approvvigionamenti energetici e sanzioni hanno, spesso, preceduto conflitti più vasti. La diplomazia tenterà di fermare i venti di guerra con un calendario che prevede una settimana di lavori con le riunioni di mercoledì a Bruxelles con il Consiglio NATO-Russia e, a fine settimana, a Vienna in ambito OSCE. Non sembra vicino un risultato che componga il “conflitto”, ma l’importante è tenere accesa la via dei colloqui, tenendo disinnescate le armi . La questione, comunque, merita una riflessione più ampia perché si dipana nel cuore di un’area al centro delle più tragiche vicende che l’Europa ha vissuto spesso nella storia, non solo della seconda guerra mondiale. Il carattere impresso a questa fase diplomatica, rispetto a quella precedente che vide protagonista l’iniziativa della Merkel ed, in sostanza, dell’Europa, appare sotto il segno del prevalente rapporto tra USA e Russia.

Marta Dassù, direttore della rivista specialistica Aspenia, in un articolo su Repubblica, scritto il giorno della prima riunione a Ginevra, ritiene che “non sarà una Yalta 2”, nel senso che non si procederà secondo una linea che congelerebbe i rapporti tra Mosca e Washington secondo i criteri regolatori della guerra fredda. Rilevato, con un profilo minimalista, che “l’Europa consultata da Biden è data per scontata”, sostiene, con un filo di cauta speranza, che, “forse”, ci si potrebbe trovare di fronte all’”avvio di un dialogo alla Helsinky 2 sulla sicurezza europea: principi, regole, misure di fiducia, combinati a un rilancio del controllo degli armamenti e alla conferma del contenimento militare della Russia”. Ora, questo riferimento storico richiede un necessario chiarimento. L’Atto di Helsinki, firmato nell’agosto del 1975, che ebbe il merito di avviare la distensione in Europa, vide un ruolo determinante dell’Europa e dell’Italia, con la firma di Aldo Moro, allora ministro degli Esteri, anche a nome della Comunità Economica Europea, di cui l’Italia , in quel momento era presidente di turno. Vi fu il coinvolgimento di tutti i Paesi europei, degli Stati Uniti, del Canada e dei Paesi del Patto di Varsavia oltre che l’Urss. Qualche storico fa risalire all’affermazione dello “spirito di Helsinki”, il declino della presa ideologica comunista sul sistema sovietico. Il lungo lavoro diplomatico dello statista italiano per costruire e giungere alla firma dell’Accordo, in una fase di difficili rapporti internazionali - si pensi alla guerra del Kippur combattuta nell’ottobre del 1973 – riuscì a superare anche le diffidenze americane che caratterizzarono il giudizio di Henry Kissinger, l’importante segretario di Stato di Richard Nixon.

In sostanza, questa assenza dell’Europa nell’avvio dei negoziati a Ginevra e il probabile ruolo secondario che essa eserciterà, probabilmente nel solo ambito NATO, contraddistingue non positivamente questa fase decisiva della diplomazia che influirà sulla pace , la sicurezza e lo sviluppo continentale. Ancora una volta gli eventi segnalano il problema, ormai diventato non più procrastinabile, di una unitaria politica estera e di difesa dell’Europa. L’Europa deve uscire dal suo sonno politico e tornare a sentire la responsabilità e il dovere di confrontarsi con le sfide che si presentano nel suo limes politico: dai confini orientali al Mediterraneo. Anche l’Italia che, pur in un passato di divisioni internazionali e di conflitti ideologici, svolse ruoli decisivi, non può sottrarsi a questa responsabilità.

Pietro Giubilo

 




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