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22/12/2021
L’inflazione al centro delle policy delle Banche Centrali
Le Banche Centrali stanno insomma virando verso un regime di politica monetaria più restrittivo. Molto più rapidamente di quanto potesse sembrare probabile solo alcuni mesi fa.

Rimango sempre più meravigliato di come gli insegnamenti dei premi Nobel Robert Lucas, Thomas Sargent, Neil Wallace e di tutta la scuola della Nuova Macroeconomia Classica siano ignorati e di come venga erroneamente utilizzata la politica monetaria in giro per il mondo. Mi riferisco alla errata considerazione del ruolo delle aspettative di inflazione ed alla leva monetaria utilizzata come un cambio automatico. All’inizio i Banchieri Centrali ci hanno comunicato che l'inflazione sarebbe rimasta transitoria, poi che sarebbe durata un anno. Ma se fosse stato così non si spiega perché si sarebbe dovuto iniziare il tapering (aumento dei tassi d’interesse e riduzione degli acquisti di titoli) confidando che la variazione dell’inflazione sarebbe rimasta al di sotto dell’obiettivo fissato. La loro risposta è che bisogna governare le aspettative. Ma in questo modo però lo si fa non nella giusta maniera assumendo implicitamente che il fenomeno dell’aumento dei prezzi abbia tutte le potenzialità per divenire qualcosa di più di una semplice fiammata inflazionistica. Poi all'improvviso, di punto in bianco e senza uno straccio di comunicazione, si alzano i tassi d’interesse. La politica monetaria dovrebbe essere, invece, come la leva del cambio manuale: utilizzata senza rompere gli ingranaggi schiacciando la frizione (fuor di metafora utilizzando le giuste comunicazioni, permettendo agli operatori di formarsi le aspettative). Che poi personalmente io non sia mai stato favorevole alle politiche monetarie ultra-espansive (e che in linea di principio sono d'accordo con la mossa della Bank of England ed in profondo disaccordo con l’operato della Banca Centrale Europea) è un altro paio di maniche; quello che contesto è il metodo molto "eterodosso" con cui ultimamente viene condotta la politica monetaria, ovvero in maniera erratica. Se sono fissate ex ante delle regole, esse vanno rispettate; altrimenti entriamo nel campo della pura discrezionalità nella quale le Banche Centrali vanno in politica monetaria restrittiva dopo un meeting ed in espansiva quello successivo. 

La settimana scorsa è stata quella nella quale le Banche Centrali di tutto il mondo hanno cambiato marcia ed hanno iniziato a prendere sul serio l'inflazione. Mandando in soffitta i discorsi nei quali i prezzi in rapido aumento erano transitori e la BCE e la Fed hanno drasticamente ridimensionato i loro programmi di acquisto di ‘attività’. Mentre le Banche Centrali di Regno Unito e Norvegia, hanno alzato i tassi di interesse unitamente a nove Banche Centrali di paesi emergenti. Perfino la Banca del Giappone ha ridotto il suo sostegno monetario per la crisi generata dalla pandemia da Covid-19. Le Banche Centrali stanno insomma virando verso un regime di politica monetaria più restrittivo. Molto più rapidamente di quanto potesse sembrare probabile solo alcuni mesi fa. I policymaker hanno messo al centro delle loro analisi l’inflazione  relegando al margine l'importanza che attribuivano al coronavirus ed ai suoi effetti negativi sull'attività economica. Le dichiarazioni della Fed, della BCE e della BoE hanno tutte evidenziato l'incertezza che circonda la variante Omicron. Ma nessuno ha creduto che sarebbe stata fondamentale per la politica nei prossimi mesi. Due esempi. Negli Stati Uniti, il Governatore della Fed Jay Powell ha affermato che la variante Omicron non ha molto a che fare col suo piano per accelerare la rimozione dello stimolo monetario dell'era della pandemia. Christine Lagarde, Presidente della Bce, da parte sua ha sottolineato che le economie dell’Eurozona sono diventate più resilienti, più forti e più capaci di adeguarsi ondata dopo ondata e variante dopo variante. Queste affermazioni hanno sollevato preoccupazioni tra alcuni addetti ai lavori per il fatto che le principali Banche Centrali possano aver dimenticato quanto siano perniciose le ondate di coronavirus sull’attività economica. I banchieri centrali che hanno preso questa inclinazione da falco, o meno accomodante nel caso della BCE, non avrebbero mai immaginato  in ottobre e novembre che ci sarebbe stato questo fulmine a ciel sereno con la variante Omicron. Sono sorpreso che non ci sia un po' più di disponibilità ad accettare che le cose potrebbero effettivamente andare piuttosto male per un po'. Il motivo alla base dell'aumento dell'inflazione è la domanda globale che supera la capacità mondiale di fornire beni e servizi.

Tuttavia, mentre le principali Banche Centrali hanno riconosciuto il problema, il modo in cui hanno scelto di affrontarlo è stato diverso. Il rapido ritiro del quantitative easing da parte della Fed ed il segnale che alzerà i tassi di interesse tre volte l'anno prossimo per lasciarli tra lo 0,75 e l'1% è stato ben comunicato. La BCE, invece, è stata più cauta ritenendo che ci fossero meno segnali di rapida crescita dei salari in Europa e ha continuato ad aspettarsi che l'inflazione dell'Eurozona sarebbe scesa al di sotto del suo obiettivo nei prossimi due o tre anni. Ciò riflette in gran parte il fatto che le dinamiche inflazionistiche sottostanti nell’Eurozona rimangono ancora contenute. L'inflazione è diventata un problema di policy in molti paesi ed in particolare negli Stati Uniti. Inoltre, i Governi stanno ancora fornendo stimoli fiscali, i tassi di interesse rimangono molto bassi e vi è spazio per un nuovo allentamento se gli effetti economici di Omicron si dovessero rivelare peggiori del previsto. Si naviga a vista. Ma ora che il ciclo di inasprimento è iniziato, una sfida più grande per le Banche Centrali si sta avvicinando e verrà raccolta se dovranno andare molto più in là di quanto hanno fatto questa settimana prendendo decisioni impopolari per eliminare l'inflazione persistente dall'economia. Insomma la loro prova più impegnativa deve ancora venire.

Marco Boleo

 




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