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20/12/2021
Investimenti e attese per il 2022
La forza di lavoro sarà l’ago della bilancia per una verifica dell’inflazione

La stima dell’inflazione che sta riprendendosi pone la questione del possibile inasprimento della politica monetaria che a sua volta risentirebbe sui tassi interesse rimodulando il QE e metterebbe in crisi la ripresa economica. Dalle prime impressioni a caldo delle big banks si pone il problema di un triello: inflazione, tassi, ripresa economia. In quel famoso film di Sergio Leone uno ha la pistola scarica e la partita si gioca a due, favoriti sempre chi spara per primo, mai il cattivo, in questo caso lo shock inflazionistico. L’aumento dei prezzi non ha le caratteristiche di 50 anni fa, con il petrolio a farla da padrone, è stato ribadito in un precedente bellissimo saggio a firma Marco Boleo. Oggi c’è l’effetto pandemia con tutti i fattori collegati (produzione, carenze, consumi, forza lavoro, ecc). Già la forza di lavoro sarà l’ago della bilancia per una verifica dell’inflazione: in discesa i tassi aumenterebbero, diversamente si innescherebbe una pericolosa spirale prezzi-salari che suggeriscono la riduzione del QE dal cui monitoraggio deriva la regolazione della possibile instabilità venuta a creare. Orbene, in questi mesi di inflazione le banche centrali hanno dato due diversi tipi di spiegazione, una più rigida e difensiva e l’altra più articolata. 1. Nessun errore, ci sono solo stati dei problemi imprevisti.

Non pensavano a una combinazione così perversa tra strozzature dell’offerta e aggressività della domanda, visto che gli uffici studi alla fine del 2020 indicavano per la fine di quest’anno un’inflazione al due per cento (Fed) o sotto il due (Bce). 2. Si è fatto quello che si doveva fare in una situazione di emergenza. Quando c’è una guerra, e la pandemia equivale a una guerra, prima si stampa e poi si chiede il perché. È il classico caso in cui è meglio fare troppo piuttosto che troppo poco o niente. Non si sapeva esattamente come sarebbe andata con l’inflazione, anche perché misurare l’output gap è sempre molto difficile e lo è ancora di più in condizioni di disordine, impossibile fare ipotesi sui mutamenti strutturali. Chi poteva ad esempio pensare che stesse diventando così difficile fare incontrare la domanda e l’offerta di lavoro? Insomma, di fronte a questi numeri anche Lagarde affermerebbe che non c’erano alternative. Tuttavia, per il futuro vengono fornite due indicazioni dai toni e scenari diversi. 1. L’inflazione, come dicono i nostri uffici studi, scenderà l’anno prossimo sotto il due per cento (Fed) o molto vicino (Bce). Si tornerà alla normalità e ci dimenticheremo presto di questo 2021. 2. Non si sa bene come si comporterà questa inflazione non più transitoria (afferma Powell). Non solo non sappiamo come andrà, ma i rischi sono sbilanciati verso l’alto (Schnabel). Faremo qualcosa per contenerla (tapering accelerato e tassi di policy all’uno per cento, Fed) o per alimentarla meno (fine del Pepp, Bce), ma la priorità non sarà l’inflazione bensì la fine della disoccupazione (Fed). Allora nulla vieta di provare a credere alla prima affermazione.

Tra i tanti casi possibili, c’è certamente anche quello di un ritorno al 2% fra un anno, anche se è lecito sperare che a questo non corrisponda un brusco rallentamento della crescita globale. Prudenza vuole però che si ascoltino attentamente gli avvertimenti impliciti nella seconda narrazione, soprattutto quando vengono da una voce particolarmente autorevole. Isabel Schnabel, che in questi due anni ha rappresentato la Germania (insieme al merkeliano Weidmann, ora dimissionario), fu scelta personalmente da Scholz nella sua veste di ministro delle finanze ed è ovviamente in sintonia con la Ampelkoalition guidata ora dallo stesso Scholz. La Schnabel chiede di limitare al minimo il Quantitative easing futuro, ma più che i rischi per le aspettative di inflazione, sembra avere in mente il preoccupante surriscaldamento del mercato immobiliare nel nord Europa e il rischio che una bolla fuori controllo possa un giorno sgonfiarsi male e trascinare nella caduta le banche. Nemmeno la Schnabel, in ogni caso, chiede rialzi dei tassi. Insomma, il messaggio che arriva dall’animato dibattito interno alle banche centrali è che si cercherà di limitare gli eccessi di inflazione, ma niente di più. In pratica ci viene regalata un put sulle borse e sugli spread di credito in cambio di un’ulteriore erosione del potere d’acquisto di entità indeterminata, ma non trascurabile, per il 2022. E che nessun ufficio studi, nemmeno quello della Fed, sia oggi in grado di prevedere con qualche grado di certezza come andrà l’inflazione risulta evidente se si considerano due incognite di grande peso, omicron e il prezzo dell’energia.

Quanto all’energia, la questione ucraina e la riproposizione americana dell’idea di bloccare Nord Stream 2 hanno già fatto risalire verso i massimi il prezzo del gas europeo. I mercati non dovrebbero sottovalutare la determinazione russa non tanto a invadere l’Ucraina, quanto a impedire a ogni costo, inclusa la rinuncia ai proventi dalla vendita di gas, il suo ingresso nella Nato. La prossima settimana ci fornirà molte indicazioni sia sul fronte delle banche centrali, sia su quello del dialogo russo-americano sull’Ucraina, ma anche su omicron. I mercati hanno ora un posizionamento equilibrato e un atteggiamento di attesa costruttiva. La fase euforica del rialzo azionario è conclusa, ma il fondo rimane piuttosto solido. Rimetteremo in discussione l’idea di restare investiti quando ci sarà evidenza di un rallentamento della crescita, di cui per ora non c’è traccia.

Gilberto Minghetti




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