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17/12/2021
Le banche centrali stanno sperimentando il difficile passaggio a nord-ovest
La chiave per valutare se l'inflazione rimarrĂ  transitoria saranno i dati futuri sul mercato del lavoro e sulle aspettative.

Le banche centrali sono messe duramente alla prova dalla recente ripresa dell'inflazione, con gli Stati Uniti che hanno recentemente sperimentato un tasso su base annua del 6,8%. Il più alto dopo quasi 40 anni. La domanda che tutti gli addetti ai lavori si stanno ponendo ora è se questa inflazione sia temporanea ("transitoria") o persistente. Nel caso fosse solo transitoria, infatti, sarebbe controproducente affrontarla in modo aggressivo. Detta diversamente se le banche centrali dovessero inasprire inutilmente la politica monetaria aumentando bruscamente i tassi di interesse a breve termine o annullando rapidamente gli acquisti di titoli del debito pubblico e privato (noti come allentamento quantitativo o QE) e smettendo di sostenere i sistemi economici affetti dallo shock economico del Covid-19, ciò bagnerà le polveri della ripresa economica. Le recenti dichiarazioni pubbliche dei banchieri centrali hanno messo sul tavolo tutte le difficili decisioni future che dovranno essere prese. Il presidente della Federal Reserve statunitense, Jay Powell, ha segnalato che la forte ripresa dell’economia statunitense combinata con l'aumento dell'inflazione potrebbero portare la Fed a ‘ridurre’ più rapidamente i suoi acquisti di attività col QE (informazioni alla mano dovrebbero concludersi entro il prossimo mese di giugno). La Banca d'Inghilterra dovrebbe terminare, invece, i suoi acquisti di attività questo mese e Huw Pill, il suo capo economista, ha affermato che "ora esistono le condizioni per poter optare per tassi di interesse più elevati". La Presidente della Banca Centrale Europea (BCE), Christine Lagarde, dal canto suo, ha preso viceversa una posizione più accomodante, affermando che è improbabile che l’Istituzione da lei presieduta aumenti i tassi di interesse nel 2022, nonostante l'inflazione sia ben al di sopra del suo obiettivo del 2% (poiché lo considera transitorio). Non è chiaro però se la BCE estenderà il suo programma di QE oltre il marzo 2022.

Quindi, la questione dirimente è quanto significativo sia l'attuale shock inflazionistico e quali siano le sue cause? Iniziamo con quest’ultime. Osservando i dati OCSE, il recente aumento dei prezzi non è significativo come quello degli anni '70 e dell’inizio degli anni '80, causato da forti aumenti dei prezzi del petrolio. Tuttavia, se si confronta l'attuale aumento dell'inflazione con quello degli anni 2000, si tratta di uno dei maggiori shock da quando la BCE è stata istituita. L'inflazione in corso è dovuta principalmente allo sconvolgimento che la pandemia ha causato alle principali catene di approvvigionamento globali. In settori come i prodotti elettronici e la produzione di veicoli, sono emerse strozzature dal lato dell’offerta, note come colli di bottiglia, e carenze di input chiave come i semiconduttori poiché la domanda dei consumatori si è ripresa più rapidamente dopo la prima ondata di pandemia di quanto i fornitori potessero tenere il passo. Allo stesso modo, la carenza di container e di capacità di carico ha aumentato i costi di trasporto. La rapida ripresa economica nel 2021 ha anche messo sotto pressione i prezzi dell'energia, in particolare il prezzo a pronti (o prezzo spot) del gas in Europa. Nel frattempo, ci sono state carenze di manodopera con cui fare i conti: il Regno Unito e gli Stati Uniti sono tra quelle nazioni che sembrano vedere diminuire la partecipazione alla forza lavoro a causa del pensionamento delle persone o per il costo-opportunità legato alla scelta se domandare lavoro o meno. Unita al fatto che il Regno Unito e alcune economie del Nord Europa non hanno ricevuto abbastanza migranti a breve termine di cui hanno bisogno come il pane per settori quali l'ospitalità ed il trasporto di merci. Quando ci sono meno lavoratori disponibili, infatti, le maestranze si vedono costrette a pagare retribuzioni più elevate per coprire i posti resisi vacanti. Come dovrebbe rispondere la politica monetaria? E questo è il passaggio a nord-ovest che stanno cercando. Per le banche centrali, la domanda chiave a cui trovare risposta riguarda le aspettative di inflazione.

Se i consumatori e le imprese credono che l'inflazione continuerà a rimanere su livelli altrettanto elevati, come hanno fatto negli anni '70 del secolo scorso, cercheranno di incorporarla nelle rivendicazioni salariali e nella fissazione dei prezzi futuri. L'inflazione diventerà quindi strutturale. Quali sono le prove di questi ‘effetti di secondo impatto’ [1] sui salari e sulla fissazione dei prezzi? Ci sono alcuni indizi che emergono dalle indagini sul comportamento dei consumatori e dai prezzi delle obbligazioni che mostrano che le aspettative di inflazione negli Stati Uniti, nell’Eurozona e nel Regno Unito sono aumentate marginalmente nella seconda metà del 2021, ma sembrano ancora contenute. Una differenza sostanziale con gli anni '70 e '80 del secolo breve è che i mercati del lavoro sono più flessibili nel senso che i sindacati hanno meno potere di contrattazione salariale nel settore privato, le retribuzioni non sono agganciate automaticamente alla variazione dei prezzi (con la scala mobile), e che c'è una maggiore concorrenza internazionale a causa della globalizzazione. Piuttosto che innescare una spirale salari-prezzi, l'aumento dei prezzi potrebbe quindi essere assorbito da una diminuzione dei salari in termini reali (nel senso che aumenterebbero al di sotto del tasso di inflazione). Ciò dipende dalle interruzioni temporanee del settore dell’offerta dell’economia, poiché alla fine, con l'inasprimento dei mercati del lavoro nella maggior parte dei paesi, i datori di lavoro alla fine dovrebbero pagare salari che tengano il passo con l'inflazione. Sfortunatamente, la variante omicron è un segnale che, poiché il Covid-19 diventa endemico, la ripresa economica potrebbe essere caratterizzata da interruzioni occasionali e ulteriori shock di approvvigionamento, aumentando potenzialmente la pressione sui datori di lavoro a pagare salari più elevati. Le Banche Centrali nel secolo scorso hanno potuto sradicare l’inflazione perché sono divenute indipendenti dai Governi.

La chiave per valutare se l'inflazione rimarrà transitoria saranno i dati futuri sul mercato del lavoro e sulle aspettative. Supponiamo ad esempio che tra l'inizio e la metà del prossimo anno, l'inflazione tenda a scemare, le banche centrali potrebbero solo aver bisogno di aumentare gradualmente i tassi d’interesse per ancorare le aspettative. Ma se i dati dovessero indicare che l'inflazione rimane ostinatamente superiore agli obiettivi di inflazione delle banche centrali (diciamo 4-5%) per un orizzonte temporale più lungo, questa sarebbe la prova che si è innescata una spirale prezzi-salari. Le Banche Centrali dovrebbero quindi e non c'è alternativa aumentare sostanzialmente i tassi di interesse a breve termine e ridurre il QE. Riducendo insomma potenzialmente l'attività economica fino a quando gli aumenti di salari e prezzi non si arresteranno. Ma come sappiamo dagli anni '70 e dai primi anni '80 del secolo scorso, questo potrà causare dolorose recessioni, portando all’aumento della disoccupazione. In ogni caso, il QE deve essere portato a scadenza con attenzione. Avendo generato una domanda aggiuntiva di titoli di stato e aumentato l'offerta di moneta disponibile per investire in altre attività finanziarie come le azioni il suo venir meno potrebbe generare instabilità finanziaria. Pertanto il tapering potrebbe generare volatilità nei mercati dei titoli e delle azioni e questa situazione potrebbe essere aggravata dagli investitori che potrebbero disfarsi delle azioni nella convinzione che condizioni monetarie più restrittive potrebbero portare ad una minore crescita economica. Gli acquisti del QE hanno anche dilatato i bilanci delle banche centrali. Ad esempio, quello della Fed è passato da circa 4 trilioni di dollari a 8,7 trilioni dall'inizio della pandemia. Oltre al tapering, pertanto bisognerà ridurre anche l’ampiezza dei bilanci delle Banche Centrali.

La differenza negli esiti sarà data da come verrà fatta questa uscita dal QE. O molto lentamente man mano che il debito acquistato col QE matura, o – se le Banche Centrali rilevano di aver bisogno di inasprire la politica monetaria in modo più aggressivo – vendendo questi titoli sul mercato aperto prima della scadenza. Ciò però potrebbe significare vendere in perdita, nel qual caso i governi dovrebbero rimpinguare i bilanci delle Banche Centrali e quest’ultime potrebbero perdere la loro indipendenza dalla politica. C'è anche una sfida più immediata all'indipendenza della Banca Centrale, che è stata concessa diversi decenni fa per impedire che la politica monetaria fosse soggetta a interferenze politiche e per rassicurare i mercati sul fatto che l'inflazione sarebbe stata tenuta sotto controllo. Tuttavia, solo perché una Banca Centrale fissa i tassi indipendentemente dal governo, potrebbe non essere immune da pressioni esterne durante una grave crisi economica. I banchieri centrali potrebbero soccombere alle pressioni politiche e dei media per agire o troppo velocemente nella lotta all'inflazione o troppo lentamente per preservare la ripresa economica. Alcune banche centrali come la Bank of England sembrano destinate a tenere sotto controllo i tassi di interesse almeno fino all'inizio del 2022, nonostante i commenti di Huw Pill, date le incertezze che circondano la variante omicron. Allo stesso modo, la BCE si mantiene cauta. Mentre la Fed per bocca del FOMC il 15 dicembre scorso ha confermato che il tasso d’interesse di riferimento oscillerà in un intervallo compreso tra lo 0 e lo 0,25%: col ritmo degli acquisti dei titoli di stato che verrà ridotto per un ammontare di 20 mld di dollari al mese, e portato a 40 mld a partire dal prossimo gennaio. Per il momento, direi che sarebbe meglio aspettare nel prendere decisioni. Le prossime settimane, infatti, ci forniranno più dati sia sulle aspettative di inflazione, ma anche su come il Covid-19 potrebbe continuare a influenzare le nostre economie.

[1] Gli ‘effetti di secondo impatto’ descrivono una situazione in cui la deviazione temporanea dell’inflazione dall’obiettivo si radica sui salari e sulle decisioni in materia di determinazione dei prezzi per poi divenire persistente.

 

Marco Boleo




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