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03/12/2021
Le aspettative d’inflazione
Per cercare di arrestare l’inflazione bisognerà aumentare e di molto i tassi d’interesse e frenare la spesa pubblica in deficit.

Abbiamo assistito a politiche di bilancio ultra-espansive, unite a politiche monetarie ultra-accomodanti, fatte di tassi d’interesse prossimi allo zero e di acquisti sul mercato secondario di titoli di stato dei paesi col quantitative easing rafforzato per la pandemia. In Europa ad esempio è stato attivato il PEPP: il Programma di Acquisto di Emergenza per la Pandemia. Tutto ciò oltre a contribuire a risolvere le problematiche economiche legate alla pandemia, negli ultimi tempi ha innescato in giro per il mondo processi inflazionistici più o meno marcati. Insomma l’aumento del Pil in parte è stato reale ed in parte gonfiato dall’inflazione. Il controllo dell’inflazione è affidato alle politiche monetarie delle Banche Centrali. Queste ultime unitamente ai Governi hanno immediatamente scaricato le colpe dell’inflazione sul lato dell’offerta dell’economia, ovvero sulle strozzature nella catena di approvvigionamento, ma in realtà il fenomeno inflazionistico è perfettamente riconducibile all’effetto delle politiche monetarie e fiscali espansive citate all’inizio, unitamente alla riapertura contemporanea in giro per il mondo delle attività economiche dopo le chiusure attuate per far fronte alla pandemia. Pertanto le cause dell’inflazione vanno fatte risalire in ogni caso alla spesa pubblica messa in campo dai Governi, dove di più dove di meno, e dalle politiche dell’allentamento quantitativo rafforzato. Sicuramente chi ha agito di più sul pedale delle politiche fiscali espansive sono stati gli Usa delle Presidenze Trump e Biden. Hanno speso e spenderanno circa cinque trilioni di dollari. Quasi la metà di tutti gli stimoli fiscali globali. Questa spinta sulla domanda nominale per forza di cose non poteva fare altro che generare inflazione.

Uno scotto da pagare. Ora la Federal Reserve messa di fronte al problema sta correndo ai ripari. Mentre la BCE sembra più attendista. La Fed inizialmente dimezzerà gli acquisti di titoli di stato e a seconda di come si svilupperanno il mercato del lavoro e la dinamica inflattiva, a partire dal secondo trimestre del 2022, potrebbe rialzare i tassi d’interesse. La Fed con questi interventi lascia intendere che un po’ d’inflazione in più potrebbe avere degli effetti positivi. L’inflazione, infatti, nel breve periodo, potrebbe risolvere apparentemente alcuni problemi economici. Da una parte abbiamo il deficit e il debito pubblico che sono cresciuti, raggiungendo livelli che potrebbero avere effetti negativi, ma che l’inflazione contribuisce a mitigare. Mediante due meccanismi: 1) la crescita del Pil nominale, e 2) la diminuzione del tasso d’interesse reale che si paga sul debito pubblico, che è dato dalla differenza tra il tasso d’interesse nominale e quello d’inflazione. La derivante riduzione della spesa per interessi ha un effetto positivo sui conti pubblici che migliorano e sul rapporto debito pubblico sul Pil che arresta la sua crescita ed inizia a ridursi. Ma dall’altro, l’inflazione ha anche un altro effetto meno conosciuto che piace soprattutto negli uffici governativi che si occupano di politica economica, e altrettanto potente: riduce il valore dei salari nominali. Pertanto in presenza di una inflazione, comparsa improvvisamente e di una certa entità, i salari reali tendono a diminuire. Questo fenomeno perché è positivo? Dipende dal funzionamento del sistema economico. Ricordando che l’occupazione totale è influenzata positivamente dal livello dell’attività economica e negativamente dal livello del salario reale (salario nominale diviso l’inflazione) pagato dalle imprese.

La diminuzione del salario reale aumenta la domanda di lavoro da parte delle imprese e provoca una riduzione della disoccupazione. Negli Usa, infatti, ha raggiunto un livello vicino al 4,5%. Questo fenomeno si verifica senza chiedere ai sindacati ed ai lavoratori di diminuire i salari. Anzi, li si lascia nell'illusione (temporanea) di averglieli aumentati. L’inflazione, quindi, nel breve termine piace un po’ a tutti. Dalla classe politica di tutto l’arco costituzionale, passando per gli imprenditori ed i sindacati e arrivando ai Banchieri Centrali. Ma l’inflazione ha un insidia. L’illusione che provoca è temporanea e Milton Friedman, in un suo scritto del 1980 [1], la paragona all’alcolismo. In entrambi i casi, quando inizi a bere o quando inizi a fare politiche monetarie e fiscali espansive, gli effetti positivi vengono prima, e quelli negativi solo dopo. Ecco perché, in entrambi i casi, c'è una forte tentazione ad esagerare, a bere troppo o a stimolare in eccesso la spesa. Quando si tratta della cura, invece, avviene il contrario. Quando smetti di bere, o quando fai politiche monetarie e fiscali restrittive, gli effetti negativi vengono prima e gli effetti positivi solo dopo. Ecco perché è così difficile iniziare e persistere con la cura. Tornando a noi a conti fatti chi comprenderà di essere stato danneggiato dall’aumento dei prezzi correrà subito ai ripari. Coloro che acquistano i titoli di stato pretenderanno tassi d’interesse più elevati, per compensare l’inflazione e chi riceve un salario, invece, cercherà di recuperare il potere d’acquisto perduto, chiedendo aumenti salariali oltre il tasso d’inflazione, rischiando così di far aumentare di più l'inflazione mediante la spirale prezzi-salari.

A questo punto per cercare di arrestare l’inflazione bisognerà aumentare e di molto i tassi d’interesse e frenare la spesa pubblica in deficit. Ma questo vorrà dire far entrare in recessione l’economia per tutto il tempo necessario per ottenere la deflazione. Ora considerato che la classe politica non vuole assumersi queste responsabilità e che un po’ di inflazione sta bene a tutti non si interverrà. Le Banche Centrali hanno osservato il fenomeno ed agiranno timidamente. Questo perché un’intervento rapido ed efficace per contrastare l’inflazione impatterebbe negativamente sulla crescita economica, aumentando conseguentemente il tasso di disoccupazione e arrestando la diminuzione del debito pubblico. E questa situazione al momento, almeno nel mondo occidentale, non la vogliono né i Governi né i Banchieri Centrali. Si punterà allora ad una disinflazione lenta e graduale, tale da non compromettere la ripresa economica in atto. La variabile chiave in questo processo saranno le aspettative di inflazione. Nel caso queste restino invariate si potrà adottare un rientro lento dall’inflazione. In caso contrario se queste dovessero mutare, l'inflazione potrebbe ancorarsi al livello che ha raggiunto e per riportarla al livello iniziale del 2%, sarebbe necessaria una politica monetaria restrittiva con tutti gli effetti negativi ricordati sopra. Per ora nessuno sa cosa potrebbe accadere. La speranza è che l’inflazione sia e resti un fenomeno temporaneo.

[1] Friedman M. - Why Inflation is Like Alcoholism, The Listener, 24 April 1980.

 

Marco Boleo




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