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19/11/2021
L’inflazione: un'arma a doppio taglio
Tutto dipenderà dalla capacità di rientro dai deficit e dai debiti pubblici, che dovrà essere rafforzata.

La politica economica messa in campo al di qua ed al di là dell’Atlantico, attualmente è legata a doppio filo alle manovre fiscali e monetarie espansive. Queste attuate in risposta agli shock dal lato dell’offerta (aumento dei costi di produzione) e della domanda (diminuzione degli investimenti e dei consumi) oltre a favorire la ripresa economica hanno portato però ad un forte rialzo dell’inflazione. I commentatori ed i responsabili della politica economica ora si stanno interrogando se questo aumento dei prezzi sarà solo una fiammata o se diverrà strutturale. Unitamente a se bisognerebbe lasciare invariate siffatte politiche o se andrebbero corrette per raffreddare la crescita economica e di conseguenza l’inflazione. Gli effetti di quest’ultima naturalmente non sono a senso unico visto che ci sono delle categorie che chi ci guadagnano ed altre che ci perdono. Un rialzo consistente dell’inflazione, ad esempio, tale da provocare una diminuzione dei salari reali (dati dal rapporto tra i salari nominali e l’inflazione) ha un effetto positivo a breve termine nel mercato del lavoro. Ovvero se il salario reale si abbassa, la domanda di lavoratori aumenta. Negli USA ciò è avvenuto ed ha avuto un effetto positivo sul tasso di disoccupazione. I dati ci dicono che ad ottobre è diminuito attestandosi al 4,7%. Ad onor del vero alla sua riduzione ha contribuito anche la riduzione del tasso di partecipazione al mercato del lavoro. In altre parole molti americani per via dei sussidi ricevuti han deciso di non cercare attivamente lavoro e questo non li rende disoccupati.

Un altro aspetto positivo dell’inflazione e non certo secondario per gli Stati alle prese con la crescita del debito pubblico, è che un suo aumento per mezzo della repressione finanziaria (la compressione dei tassi d’interesse reali) attuata dalle Banche Centrali, comporta una diminuzione del livello del debito pubblico rapportato sul Pil. Questo perché il calcolo del debito in rapporto al Pil si compie su quello nominale. Ma chiariamo meglio questo punto. Il valore del Pil si ottiene sommando tutta la produzione di beni e di servizi in un anno moltiplicata per i rispettivi prezzi. Naturalmente solo il valore aggiunto. L’aumento dei prezzi a parità di produzione pertanto gonfia il Pil nominale e la sua crescita fa diminuire il rapporto debito pubblico/Pil. Chi ci perde allora in questo gioco a somma zero? I risparmiatori con patrimoni non agganciati a beni reali che subiranno una diminuzione del valore del loro risparmio reale ed i lavoratori ed i pensionati che vedranno ridursi il potere d’acquisto dei loro redditi fissi da lavoro o da pensione. Tirando le somme. Il dilemma come accennato all’inizio da un lato è lasciar correre l’inflazione che essendo maggiormente da costi e poco da domanda si riassorbirà (senza mutare l’orientamento espansivo delle politiche monetarie e fiscali) e dall’altro ridimensionare tali politiche economiche visto che hanno generato l’inflazione. Ma questo vorrebbe dire per gli Stati mettere in pericolo la ripresa economica.

Quali potrebbero essere allora le conseguenze negative di lungo termine dovute a politiche monetarie e fiscali espansive permanenti? Ovviamente che l’inflazione all’inizio temporanea diventi invece strutturale. In questo caso se i mercati reali e finanziari dovessero percepire questo cambiamento come un cambiamento di regime: mutando le cosiddette “aspettative inflazionistiche”, i tassi d’interesse, indipendentemente dalla volontà e dall’operato dei policy maker che influenzano il comportamento delle Banche Centrali, le ingloberanno ed aumenteranno di conseguenza. Questo porterà ad un debito pubblico di nuovo in ascesa e ad un rallentamento della crescita economica, ma anche ad un probabile espansione della politica monetaria e di quella fiscale. La risultante sarà un ulteriore aumento dell’inflazione, innescando in questo modo una spirale deficit di bilancio-debito pubblico e inflazione che rosicchierebbe ulteriormente il valore delle retribuzioni e dei risparmi, rendendo il sistema economico instabile. Questa spirale, classica nei paesi del Cono Sud (Sud America) non è detto però che si verifichi al 100%. Tutto dipenderà, infatti, dalla capacità di rientro dai deficit e dai debiti pubblici, che dovrà essere rafforzata. Purtroppo il populismo economico, anche se in ritirata, è oggi ancora in auge in quasi tutto l’occidente e tende a condizionare il rientro. L’inflazione diventerà quindi di nuovo strutturale? Nessuno per ora lo sa con precisione e almeno per l’Eurozona col costituzionalismo fiscale che si è data, tale pericolo dovrebbe essere lontano all’orizzonte, ma per molti altri paesi potrebbe divenire endemica.

Marco Boleo




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