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15/11/2021
Draghi: “Un nuovo patto sociale”
La stagione del neoliberismo trionfante ha portato alla sacralizzazione del mercato, che, detto in termini concreti, ha portato alla sacralizzazione del profitto.

Il Premier Draghi negli incontri con Confindustria e sindacati ha rilanciato l’idea del “patto sociale”, o meglio, come lui lo ha definito “un patto economico, produttivo e sociale” per rilanciare la crescita economica dell’Italia. Queste parole evocano chiaramente i patti sociali della prima repubblica, quelli con cui negli anni 90, tramite la “famigerata” concertazione, si cercò di affrontare le drammatiche crisi che erano scoppiate nel mondo del lavoro e non solo. I due accordi più famosi furono quelli del 1992 sulla “scala mobile”, e quello del 1995 che ha consentito di varare una riforma del sistema pensionistico che (sia pure nel lungo periodo) sancì il passaggio da un sistema a “beneficio definito” (defined benefit) ad un sistema a “contribuzione definita” (defined contribution) e dunque rivoluziona il metodo di calcolo delle pensioni. Sono passati trent’anni da quella stagione e, nonostante gli indubbi meriti di quelle riforme, oggi la situazione del mondo del lavoro in Italia è drammatica. L’OCSE ha elaborato uno studio in cui si dimostra che, a parità di potere d’acquisto il salario medio di un lavoratore italiano è diminuito dal 1990 al 2020 del 2.9%, a fronte della crescita dei salari in Francia e Germania di più del 30% e negli Stati Uniti addirittura del 50%. La Fondazione Di Vittorio, nel suo rapporto, ha calcolato il tasso di disoccupazione “sostanziale” nel 2020 pari al 14,5 %, rispetto a quello nominale ufficiale del 9,2%.

A questa situazione si è aggiunta la crisi pandemica che ha ulteriormente aggravato la situazione. Sempre la Fondazione Di Vittorio ha calcolato che dal 2019 il salario di un dipendente a tempo pieno in Itali, è calato del 5.8%, che è il calo più alto in Ue dove la media è del meno 1,6%. La contrazione dei costi del lavoro non ha portato però ad un aumento della produttività e del PIL ma ad una situazione stagnante anche su questo aspetto. Dal 2000 in poi, l’Italia è stata caratterizzata da bassi tassi di crescita, anche in confronto alla già non elevata media dei Paesi occidentali ed, in particolare, europei. Il tasso medio di crescita del PIL è stato infatti in media dell'1,6%, contro il 2,5% dell'UE nel suo complesso ( fonte AMECO-Commissione Europea). Questi dati dovranno pur portarci a delle riflessioni, per capire dove abbiamo sbagliato in questi trent’anni, e sul come avvalerci del PNRR e, dell’altrettanto importante, quadro finanziario pluriennale (QFP) dell’UE per il periodo 2021-2027, senza commettere gli stessi errori. In un mondo di neoliberismo imperante si sono affermate idee ben lontane dal pensiero imperante negli anni del boom economico italiano, ed altrettanto lontane dal pensiero della Dottrina Sociale Cristiana. Innanzitutto il lavoro è stato considerato solo come “costo della produzione” dimenticandoci che dietro vi sono le persone. Tutto andava bene pur di ridurre quel costo. Non bastava una riduzione reale del lavoro dipendente, ma si è affermato, dietro la bella parola di “mobilità lavorativa”, il vasto mondo del precariato, con tutte le conseguenze sociali negative.

La più importante di tutte è stato quello di privare del “futuro” moltissimi giovani, che con un lavoro precario non hanno potuto accedere ai mutui per l’acquisto della casa e quindi non possono formarsi una famiglia, contemporaneamente però ci si lamenta che gli italiani non fanno figli! Non contenti si è incrementato in maniera abnorme il “part time” non volontario, con un ulteriore riduzione di livelli salariali. Aumentando le differenze economiche territoriali sono entrati in crisi anche i Contratti Collettivi Nazionali, e non si è riusciti a far decollare seriamente il decentramento della contrattazione. Questa mentalità imperante ha fatto sì che nessuno pensasse più all’obiettivo “piena occupazione”, parola oramai diventata reperto archeologico. Non potendo però eliminare fisicamente coloro che escono dal mondo del lavoro, o che non riescono ad entrarvi, si è avuto la bella pensata del reddito universale, tanto cara a Grillo. Che bel mondo quello in cui pochi lavorano e gli altri vengono sostenuti economicamente dallo Stato, che gli darà anche poco, ma con quel poco il telefonino lo compreranno lo stesso, continuando ad arricchire chi è già ricco. Infatti se il potere di acquisto degli stipendi cala dappertutto, e, come abbiamo visto, in Italia più che altrove, stranamente gli stipendi dei supermanager sono notevolmente aumentati.

L’edizione 2020 del report Board Index di Spencer Stuart, rileva che il divario nei tassi di crescita è nettissimo la remunerazione media di un AD è cresciuta del 26% dal 2018 al 2019, la retribuzione del totale dei dipendenti dello 0,65% e quella di un operaio dello 0,8%. Questo senza tener conto dell’enorme profitto che il manager può lucrare se decidesse di vendere le azioni della società che sono parte della sua retribuzione. Qualcuno potrebbe obiettare che i manager sono pagati per i risultati che ottengono per le loro imprese. Per avere un’idea piuttosto grezza di quanto la crescita delle remunerazioni dei manager corrisponda a un effettivo miglioramento della performance delle loro aziende, si può guardare alla crescita dell’indice FTSE MIB nel periodo 2018-2019. La corrispondenza è quasi perfetta, dato che l’indice è cresciuto del 27,5%. Il problema che di questa crescita non ha beneficiato l’economia italiana nel suo complesso, dato che nello stesso periodo il prodotto interno lordo è cresciuto appena dello 0,3% (dato Istat). Per concludere, la stagione del neoliberismo trionfante ha portato alla sacralizzazione del mercato, che, detto in termini concreti, ha portato alla sacralizzazione del profitto. Profitto che non ha portato ne sviluppo ne progresso, con ciò si può dare ragione a quello statista che ha affermato che i fallimenti del capitalismo sono stradocumentati, e dar ragione a quel filosofo che ha preconizzato la sempre più concentrazione del capitale.

La ricerca parossistica del profitto a tutti i costi ha portato a quella società individualista ed egoista che abbiamo di fronte ai nostri occhi. Nel 1934 T.S. Eliot, ne “La Rocca”, con profezia lucida scriveva: “Quando la Chiesa non è più considerata, e neanche contrastata e gli uomini hanno dimenticato Tutti gli déi, salvo l’Usura, la Lussuria e il Potere.” Esiste una via di scampo? Si. Papa Francesco scrive: “Il grande tema è il lavoro. Il vero obiettivo dovrebbe sempre essere di consentire a tutti una vita degna mediante il lavoro. La politica non può rinunciare all’obiettivo di ottenere che l’organizzazione di una società assicuri ad ogni persona un modo di contribuire con le proprie capacità e il proprio impegno. Il lavoro è una dimensione irrinunciabile della vita sociale, perché non solo è un modo di guadagnarsi il pane, ma anche un mezzo di crescita personale per stabilire relazioni sane, per esprimere sé stessi, per condividere doni, per sentirsi corresponsabili nel miglioramento del mondo e, in definitiva, per vivere come popolo.” (Fratelli Tutti 162 ).

Giancarlo Moretti




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