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05/11/2021
Il rischio inflazionistico
Si è generato uno squilibrio tra il massiccio intervento pubblico di spesa sociale e la capacità di offerta dell'economia, che è ciò che sta provocando il surriscaldamento dei prezzi.

La spesa in deficit senza precedenti messa in campo dai Governi si è aggiunta ai bassi tassi di interesse praticati dalle Banche Centrali ed ai massicci acquisti di titoli di queste ultime: il tutto per alimentare il boom della domanda aggregata. Siffatta strategia era volta a far uscire presto i sistemi economici dalla recessione provocata dalle politiche di contenimento della pandemia da COVID-19, evitando un loro avvitarsi in spirali deflazionistiche. Nel contempo però le autorità fiscali e monetarie non avrebbero dovuto sottovalutare l'aumento dei prezzi e la carenza di beni e manodopera che lo stimolo della domanda avrebbe provocato. Praticamente l'intera agenda di politica economica post-pandemia messa in campo dai Governi è stata costruita attorno a politiche che alimentano la domanda aggregata (consumi + investimenti) e scoraggiano il lavoro, inasprendo i vincoli dal lato dell'offerta aggregata. In altre parole si è manifestato un disallineamento tra la domanda improvvisamente liberata e drogata dagli aiuti governativi, e l’offerta che non riesce a soddisfarla anche perché non favorita da alcuni provvedimenti presi dai Governi. Insomma si è generato uno squilibrio tra il massiccio intervento pubblico di spesa sociale e la capacità di offerta dell’economia, che è ciò che sta provocando il surriscaldamento dei prezzi.

Un marchiano errore visto che le autorità di politica economica: monetarie e fiscali dovrebbe avere come compito primario quello di calibrare quanta offerta aggregata un sistema economico può reggere, e sintonizzare la domanda aggregata a tale capacità. Ora potrebbe accadere in futuro che alcune delle pressioni inflazionistiche si attenueranno man mano che la carenza di offerta si dissiperà, ma se la domanda aggregata rimane forte, generata dal continuo stimolo monetario e fiscale, l'inflazione rimarrà elevata. Perfino quando le Banche Centrali ridurranno gli acquisti di titoli (la Federal Reserve lo ha già annunciato ed altre potrebbero seguirla), e reinvestiranno i titoli in scadenza per mantenere invariata la liquidità: lasciando i tassi di interesse vicino allo zero. Ora per disegnare qualche scenario sul futuro prossimo abbiamo bisogno di comprendere da che cosa dipende l’inflazione. Quest’ultima è alimentata da due potenti motori: 1) le aspettative (che agiscono dal lato della domanda, e che rappresentano il fattore fondamentale dell'inflazione, che come sosteneva il compianto Milton Friedman è "ovunque e sempre un fenomeno monetario") e 2) i fattori di offerta, che rappresentano un elemento contingente e che non costituiscono una spinta permanente all’inflazione. I fattori di offerta, infatti, sono contingenti perché l’aumento di qualunque componente di costo non può essere la causa di inflazione, cioè di un aumento prolungato nel tempo (e quindi rappresentare una causa di lungo periodo dell'inflazione) del livello generale dei prezzi. Componenti di costo possono far salire i prezzi di tutti i beni solo se agli acquirenti viene fornita più disponibilità finanziaria per acquistarli, il che giustifica il fatto che - nel medio periodo - l'inflazione è un fenomeno monetario che è nel mandato delle Banche Centrali controllare.

E qui casca l’asino: perché non si mettono sotto controllo i fattori monetari? Francamente non ho una risposta, ma posso azzardare due ipotesi: i) l’alto indebitamento degli Stati, che beneficerebbe di un livello dei prezzi crescente (imposta da inflazione per smorzare la crescita del debito pubblico); 2) le aspettative degli investitori sulla politica monetaria: anni di tassi molto bassi e di acquisti molto sostenuti dei titoli del debito pubblico (quantitative easing) hanno compresso i rendimenti dei titoli e conseguentemente aumentato il loro valore, e un'eventuale "inversione ad 'U' delle politiche della Banca Centrale potrebbe avere impatti negativi su questo versante. La mia idea è che per sciogliere questo intricato bandolo della matassa, costituito da alti livelli di indebitamento e ripresa delle pressioni inflazionistiche, occorrerà sicuramente passare per un ritorno graduale al rigore fiscale (visto che i tassi d’interesse potranno essere aumentati di poco) e per una maggiore attenzione alle problematiche strutturali che affliggono un sistema economico, per evitare di utilizzare la politica monetaria come una ramazza per nascondere la polvere dei problemi strutturali sotto il tappeto del quantitative easing.

Marco Boleo




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