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27/09/2021
Lo sguardo lungo
Come ha più volte detto Sergio Mattarella, ci si deve vaccinare non solo per se stessi, ma anche per la salute degli altri e la richiesta esigenza di tutela della libertà di decisione individuale deve tener conto di tale aspetto

Sul  fronte della pandemia continuano i giorni difficili. Le notizie che provengono dalle nazioni che hanno condotto capillari campagne vaccinali dimostrano che la pervicacia  del Covid 19, con le sue varianti, continua a mietere vittime, seppur con ridotta intensità, rispetto ai numeri  di un anno fa’, quando ancora non si era conclusa la ricerca del vaccino da parte delle aziende farmaceutiche.

Tuttavia, al  malessere sanitario si è aggiunta una questione con un finalità sanitaria, ma socialmente rilevante: la necessità di completare la campagna di immunizzazione  imponendo l’adozione di misure (green pass) che, di fatto, obbligano i cittadini a vaccinarsi, altrimenti si subiscono limitazioni a frequentazioni, fino a subire pesanti sanzioni sul posto di lavoro. La motivazione di questo trattamento “duro”, peraltro, è quella di impedire i rischi che i non immunizzati provocherebbero nella  diffusione del virus. Il fondamento di questo “obbligo”, si basa sull’assunto che non ci sono ragioni valide per essere contrari ai vaccini e, comunque, il rapporto rischi/benefici, sarebbe pressoché tutto a favore della pratica del  vaccino, per la drastica riduzione di contagi, ricoveri, terapie intensive e morti.

A fronte di tale necessità si erge, pur in netta minoranza, una posizione di contestazione che richiede spazi di autonomia decisionale circa il vaccinarsi, non solo  per uno scetticismo sull’efficacia di tali campagne, quanto per la difesa di uno spazio di autonomia e di libertà. In tali posizioni è presente un alto indice di strumentalità e disinformazione e, tuttavia, anche una esigenza apprezzabile  che dovrebbe, comunque, convenire ed accettare le conseguenti  limitazioni , non discriminazioni, come, del resto, si sono espresse le istituzioni europee.

Tutte e due le posizioni tendono a radicalizzarsi in quanto alcune voci, anche autorevoli,  pro green pass, con linguaggio aspro, sono arrivate  a “minacciare” la non copertura delle spese sanitarie a chi non si vaccina e, d’altra parte, le manifestazioni di chi si oppone al certificato verde sono accompagnate da altrettante “minacce” di  iniziative eversive.

La sensazione che ne emerge è quella di una sorta di degenerazione ideologica, da parte di alcune componenti delle due diverse opinioni, che rischia di produrre una lacerazione sociale non reversibile. Il fatto che due intellettuali di fama internazionale come Massimo Cacciari e Giorgio Agamben abbiamo mostrato una forte preoccupazione per la  limitazione di libertà ed  anche per l’eccesso di poteri speciali in derivazione di uno “stato di eccezione”, evidenzia  che ci si debba occupare  del tema con ragionevolezza ed  uno sguardo lungo, fuori dalla  aspra contesa che rischia di degenerare.

Non vi è dubbio che tutti gli interventi di profilassi sanitaria siano finalizzati alla difesa della salute della comunità e, quindi, si ispirano alla tutela di un interesse generale per fare in modo che la popolazione intera limiti i rischi di diffusione delle epidemie o, comunque, eviti di  contrarre malattie foriere di gravi danni  per la salute. In questo senso , come ha più volte detto Sergio Mattarella, ci si deve vaccinare non solo per se stessi, ma anche per la salute degli altri e la richiesta esigenza di tutela della libertà di decisione individuale deve tener conto di tale  aspetto. Il punto delicato, tuttavia, è rappresentato dal come si debba far prevalere  questo interesse comune: con atti di autorità e di conseguente  emarginazione dei dissenzienti o con un’opera di convincimento che non appaia e non operi come una limitazione di libertà, ma faccia emergere la portata necessaria di un bene realmente comune da porre al di sopra delle motivazioni e delle esigenze di parte.

Scontiamo, probabilmente,  una certa involuzione sociale che, negli ultimi decenni, ha inquinata la società italiana ove sono emersi individualismo, rancore sociale, sfiducia verso le istituzioni, rifugio nel privato ed altro che richiederebbero un netto cambio di orientamento.

La pandemia ci ha posti  di fronte ad un bivio. Da una parte è stato diffuso  l’annuncio che “nulla sarà come prima”, come a dire, con una lettura rivoluzionaria, tutto cambierà e l’azzeramento riguarderà anche la legge naturale, cioè quella legge che per i cattolici è scritta da Dio nel cuore degli uomini, un’”etica universale” fondamento di una società civile rispettosa dei diritti e delle libertà; d’altra parte, invece, in senso positivo, la pandemia ci pone di fronte alla necessità di un’opera ricostruttiva, per trarre da una vicenda drammatica una sollecitazione che ricomponga società disorientate e, a volte, nichiliste.

Una opera che può ben essere delineata dai tre verbi che il Mcl  ha indicato nel programma del Seminario svolto a Roma  dal 9 all’11 settembre: rigenerare, ripartire, rieducare. Un seminario che ha indicato una strada importante per il Movimento e i suoi quadri che, pur soffrendo,  hanno continuato a svolgere la loro attività nel sociale al fine di contribuire a limitare il diffondersi di diseguaglianze ed emarginazioni che la pandemia ha portato con sé.  

Le relazioni  di don Francesco Poli, del prof. Lorenzo Ornaghi, del direttore Marco Tarquinio, del prof. Michele Tiraboschi, di mons. Luigi Renna, del Presidente Alberto Gambino, di Gianluigi De Palo, oltre i messaggi e le presenze istituzionali,   contribuiranno, anche dopo l’evento, a precisare quello “sguardo lungo” necessario oltre i disagi e le incertezze del presente e che non può mancare ad un’azione sociale all’altezza dei tempi.

Incombe, infatti,  sui corpi intermedi ed in particolare sull’associazionismo sociale cattolico la responsabilità di dover dire parole  chiare e, soprattutto,  di riaffermare un senso dell’ordine civile, oggi condizionato  dal rischio dell’annullamento della  rappresentanza politica e sociale, da una emergenza che limita le istituzioni democratiche,   da poteri che, oltre ad una  condizionamento economico, intendono imporre comportamenti e nuovi modi di aggregazione sociale, soprattutto in una struttura fondamentale come la famiglia.

Per questo, soprattutto, è indispensabile non cadere nella rassegnazione o in una conflittualità inadeguata, per difendere la “salus” di popolazioni provate, mantenendo  la lungimiranza e la forza per contribuire all’Opera provvidenziale di Colui che ha creato il mondo.

Pietro Giubilo

  

 

 




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