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17/09/2021
L’alternanza di Governi politici e governi tecnici in Italia
Abbiamo bisogno di almeno venti anni di investimenti, di riforme strutturali, di maggiore impegno, per lasciarci alle spalle oltre mezzo secolo di irresponsabilità, clientelismo, assistenzialismo e corruzione

A partire dagli anni ‘90 del secolo breve il ciclo politico ed economico italiano è stato caratterizzato da brevi parentesi di governi tecnici che si sono alternati a lunghi periodi di governi politici anche se di breve durata. La ragione di questo andamento è la seguente: il sistema economico italiano è in ristagno di crescita (e di produttività) a partire dall'inizio degli anni '90: provocato dalla prima crisi fiscale dello Stato. Molti sicuramente ricorderanno o avranno sentito parlare della manovra finanziaria senza precedenti del Governo Amato di quasi 100 mila miliardi del vecchio conio messa in campo per evitare il default. La debolezza strutturale del sistema Italia è però antecedente: risale alla concessione delle baby pensioni che costano ancora al contribuente circa 7.5 mld di euro, al debito pubblico divenuto fuori controllo negli anni '80 dopo il rialzo dei tassi d’interesse, alle svalutazioni competitive della lira che in molti rimpiangono e all'inflazione aperta degli anni '70. Nella cornice di riforme di irrigidimento economico e nel contempo di rilassamento finanziario della seconda metà degli anni '60. L’introduzione sacrosanta del Welfare state universale finanziato però ogni anno in deficit che si tramutava in debito pubblico. Finché il finanziamento del debito pubblico non ha dato problemi si è avuto una sorta di equilibrio ma precario.

La finalità dei governi tecnici finora è stato quella di fare il minimo indispensabile per procrastinare il collasso dei deficit di bilancio. Sono stati una sorta di deus ex machina calato dall’alto per fare il lavoro sporco: quello che fa perdere consensi elettorali. In un altre parole, le finalità dei governi tecnici sono state quelle di tenere in vita la macchina amministrativa dello Stato quel tanto che basta per conservare lo status quo che andava bene alla maggioranza degli italiani. Dopo Giuliano Amato, qualche anno dopo, arriva al capezzale dell’Italia un altro tecnico, Lamberto Dini, con una carriera alle spalle iniziata nel FMI nel 1959 e proseguita dal 1979 in Banca d’Italia, chiamato da Giulio Andreotti a fare il Direttore Generale dopo l’ingiusta uscita di scena di Mario Sarcinelli. Egli riformò le pensioni nel 1994: il persistente squilibrio del sistema economico italiano, ma lasciò la riforma in una terra di mezzo condizionato anche dai sindacati della triplice (CGIL, CISL e UIL). Introducendo un sistema graduale sia retributivo che a capitalizzazione a seconda delle coorti di età che non risolse proprio nulla, ma si limitò solo a rendere il monte pensioni sostenibile. Creando però figli e figliastri. Ci andarono bene quelli che nel 1995 avevano 18 anni di contributi. Riformò anche il mercato del lavoro, creando però un sistema duale che non scontentava nessuno sopra una certa età, e non garantiva niente al di sotto: naturalmente migliore del precedente, che garantiva disoccupazione in perenne crescita dagli anni '70, spesso di lunga durata, e nella quasi totale assenza di ammortizzatori sociali (visto che tutta la spesa sociale italiana finiva nelle tasche dei pensionati).

La previdenza insomma veniva utilizzata come assistenza. Dopo 17 anni di Governi politici arriva di nuovo al capezzale dell’Italia un altro tecnico: Mario Monti che oltre al varo di una legge di bilancio lacrime e sangue dai connotati recessivi è passato alla storia per l'unica cosa coraggiosa che fece, per quanto tecnicamente erronea per certi aspetti, che fu la riforma Fornero. Passata la crisi dei debiti pubblici sovrani dei paesi del sud nell’Eurozona, anche per merito della quasi-monetizzazione del debito da parte della BCE a guida Mario Draghi (col whatever it takes), finì anche la sceneggiata montiana di voler cambiare le cose. Tutto restò come prima. Ora siamo entrati dal 13 febbraio scorso nell’era Draghi. In quei giorni malgrado l’autorevolezza della persona e le indubbie competenze pensai che avrebbe fatto la fine dei tecnici che lo avevano preceduto: avrebbe fatto anch’egli il minimo indispensabile per preservare lo status quo, e dopo di lui si sarebbero avvicendati di nuovo Governi politici coi soliti rituali. Salvataggi d’imprese zombie, assunzione di personale in eccesso nelle Amministrazioni Pubbliche, foraggiamento del sistema economico e sociale italiano con bonus e mance assortite, prepensionamento con altre ‘Quote’ (continuando a far credere che in questo modo si creerebbero degli spazi occupazionali per i giovani) e erogando il Reddito di Cittadinanza con le stesse modalità di oggi. Ma di chi è la colpa di questa alternanza tra Governi politici e tecnici? Presto detto! La colpa è di noi elettori pronti a vendere il nostro voto a destra e o a sinistra, a chiunque prometta la luna.

Ad affidarci ad una classe politica poco lungimirante e a corto di idee, ad un Amministrazione inaffidabile e inefficiente, ad una società civile che chiede a gran voce solo di poter vivere a spese degli altri, e ad una classe intellettuale a libro paga che non è culturalmente in grado di fare analisi e proposte per risollevare il paese. Il governo Draghi aveva di fronte due strade. Fare il minimo indispensabile (vaccinazioni e stesura del Recovery Plan) e poi far tracimare il voto a favore dei Salvini e delle Meloni, che cambierebbero subito strada. Oppure utilizzare la sua autorevolezza per raccontare agli italiani la verità: che la situazione attuale è insostenibile, che la povertà non potrà che allargarsi, che tutto il mondo cresce strutturalmente tranne noi (per ora abbiamo un buon rimbalzo), che non ci formiamo abbastanza per essere produttivi, che la situazione fiscale è squilibrata, che debito pubblico e pensioni sono un fardello insostenibile, che le banche sono deboli e schiave della politica, che la maggior parte dei servizi pubblici costa molto e rende poco perché il loro scopo è di occupare persone e non di fornire servizi efficienti. Facendo comprendere a tutti noi che abbiamo bisogno di almeno venti anni di investimenti, di riforme strutturali, di maggiore impegno, per lasciarci alle spalle oltre mezzo secolo di irresponsabilità, clientelismo, assistenzialismo e corruzione. Buon per noi che ha imboccato la seconda strada mettendoci il massimo impegno. Ora però sta a noi assicurargli il consenso.

 

Marco Boleo




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