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18/06/2021
Una “corsa in salita” per il PD
sabato e domenica scorsa i seggi autorganizzati dalla coalizione lungamente egemonica nel capoluogo subalpino non sono certo stati presi d'assalto

Primarie flop. Il copyright dell'espressione lapidaria è di quelli che non ti aspetti, riferito alle consultazioni per individuare il candidato sindaco del centrosinistra a Torino: le pagine della cronaca locale de “La Repubblica”. Sabato e domenica scorsa, al netto dell'ampiamente previsto e prevedibile “effetto Covid”, in effetti, i seggi autorganizzati dalla coalizione lungamente egemonica nel capoluogo subalpino non sono certo stati presi d'assalto. Poco più di 11 mila i partecipanti (con un migliaio almeno che hanno optato per la modalità online e affluenze minimali nelle periferie).Quattro quinti in meno di quelli che concorsero a designare, dieci anni fa, Piero Fassino come auspicato erede di Sergio Chiamparino, sancendone la vittoria contro il post-popolare protorenziano Davide Gariglio. Numeri bassi, così ridotti da portare persino il “quotidiano di riferimento” a dichiarare l'insuccesso. E a parlare esplicitamente di una “corsa in salita”, nel voto d'autunno, per il Partito Democratico e i suoi alleati (che confidavano, invece, di poter incassare facile il dividendo della griglia gestione di Chiara Appendino, presto resa innocua e riassorbita negli schemi).

Una vittoria mutilata

Nessun candidato ha raggiunto la maggioranza assoluta. Il principale azionista della coalizione esce lacerato (per effetto, paradossalmente, proprio di un serrato confronto sui confini della coalizione). Il prescelto da larga parte di quella balcanizzata federazione di correnti che è il Partito Democratico cittadino, il capogruppo consiliare uscente Stefano Lo Russo, alfiere dell'opposizione intransigente a ogni convergenza con i grillini, ha di poco superato (37 contro 35 per cento) il civico catto-progressista Francesco Tresso. Un po' troppo sbrigativamente definito “signor nessuno”, l'inaspettato secondo, appoggiato dalla sinistra radicale e propugnatore della riapertura del dialogo con la contiana Appendino, ha battuto il favorito della vigilia in tutti i quartieri del centro (il Pd non vince manco nella “sua” Ztl, insomma).
Terzo, con il 25 per cento, l'outsider piddino Enzo Lavolta; sostenuto anche da Verdi e Articolo 1, anch'egli fautore dell'embrasson nous con il Movimento, aveva incassato pure il discusso endorsement della viceministra Laura Castelli.
Al radicale Igor Boni, in quota +Europa, che in città ha sempre fatto risultati sopra la media nazionale, poco più del 2 per cento. Un'ulteriore conferma della difficoltà di questo centrosinistra, rispetto al passato, nell'attrarre i riformatori.
Non sarà sfuggito al lettore il non irrilevante dettaglio: i due candidati che evocano l'indispensabilità del “fronte progressista”, sul modello della maggioranza del Conte 2, raccolgono il consenso di sei elettori su dieci. Una faccenda che non potrà rimanere senza conseguenze, almeno a livello di dibattito interno. Alimentando ulteriormente una divisione di cui potrebbe avvantaggiarsi, più per caso che per abilità, il centrodestra.

Paolo Damilano punta al Villaggio di Asterix

Ci fu un tempo in cui gli osservatori gauchiste delle cose politiche, più quelli tendenza fucsia che i rosso antico, si gloriavano nel definire Torino “villaggio di Asterix” nel Nord a trazione forzaleghista. Nel capoluogo subalpino, infatti, una peculiare declinazione di centrosinistra - per gli antipatizzanti “il Sistema”, per gli aedi “laboratorio politico” - ha mantenuto il controllo della città anche negli anni ruggenti dell'egemonia berlusconiana (e impedito, prima e dopo, a qualsivoglia delle declinazioni della Lega di radicarsi). Per “meriti” propri (su tutti una forte propensione all'inclusione relazionale degli interessi e un controllo forte di tutte le “casematte”) e demeriti altrui (l'inconsistenza della classe dirigente del centrodestra, che ha lungamente chiamato “concordia istituzionale” l'accontentarsi degli scampoli nella consociazione).
Quel tempo potrebbe essere finito davvero, rendendo inutile “la normalizzazione” di Chiara Appendino. Il civico Paolo Damilano, che ha incassato recentemente la convergenza sulla sua candidatura di tutte le forze del centrodestra, potrebbe giocarsela davvero. Una prova? Gli ambienti che contano sotto la Mole, subito seguiti da quelli che credono di contare, stanno iniziando a far trapelare un certo apprezzamento per l'imprenditore. Dinamiche non dissimili da quelle cui si assistette con la bocconiana folgorata da Beppe Grillo.

Lamenti, non schianti

La città è un mondo. E i mondi, certi mondi e ogni mondo, finiscono. Dalle parti del Pd farebbero bene a rileggere “Gli uomini vuoti” di T.S. Eliot. In particolare, quel suo celeberrimo verso: “Questo è il modo in cui finisce il mondo, non con uno schianto ma con un lamento”. Con un lamento. O con un flop.

Marco Margrita
 




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