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11/06/2021
Le Considerazioni finali del Governatore
per ora la diagnosi dei mali dell’Italia è stato facile farla, la terapia sarà difficile attuarla e la prognosi resta riservata

Le consuete ‘Considerazioni finali’ del Governatore della Banca d’Italia di fine maggio anche quest’anno non hanno tradito le attese. Forse sono state le ultime per Ignazio Visco. Molti, infatti, i messaggi dentro la bottiglia e gli spunti di riflessione che hanno offerto. Per citarne solo alcuni: il ruolo dello Stato nell’economia, l’Europa e l’abbozzo di politica fiscale comune, il cambiamento di strategia nella politica monetaria della BCE. Mentre come filo rosso del ragionamento ci sono state interessanti ‘considerazioni’ sulla ripresa post-pandemica e sull’attuazione del Piano Nazionale per la Ripresa e la Resilienza (PNRR): partendo da una accurata radiografia del ‘sistema Italia’. Il settore produttivo italiano è costituito sia da imprese dinamiche ed innovative in crescita, a cui si deve il recupero di competitività sui mercati internazionali (testimoniato dal surplus commerciale), che da un numero di microimprese estremamente elevato con livelli di produttività modesti. Mentre è ridotta la presenza di imprese medio-grandi che hanno un’efficienza produttiva comparabile a quelle di Francia e Germania e che in questi due Paesi innervano il settore produttivo. La piccola dimensione unita alla specializzazione produttiva in attività tradizionali riducono la domanda di lavoro qualificato: originando un circolo vizioso di bassi salari e scarse opportunità d’impiego che scoraggiano gli stessi investimenti in capitale umano. L’investimento nel settore del turismo (prima della pandemia generava un valore aggiunto del 7% ed un indotto del 14%) ad esempio mentre nel breve periodo consente di sostenere l’occupazione, nel lungo rischia di frenare la crescita del Pil, della produttività e dei salari. In aggiunta malgrado gli sforzi governativi rimane bassa anche la spesa in Ricerca e Sviluppo (R&S).

Nella fluida prosa del Governatore emerge insomma tutta l’inadeguatezza di buona parte del settore produttivo italiano rispetto al contesto internazionale. Costituito da una fiumana di piccole imprese ad elevata intensità di lavoro e bassa crescita della produttività, e con imprenditori con scarsa formazione che operano attraversando spesso alla bisogna il confine tra l’emerso e il sommerso. Una cosa è certa però. Non si trasforma il tessuto economico e sociale di una nazione nel giro di un lustro o poco più (qualcuno spera che possa accadere col PNRR). Quello che si potrebbe tentare di fare, invece, è iniziare a porre le basi per la necessaria trasformazione, cercando di indovinare le scelte dei settori su cui puntare e sperando che la società italiana le assecondi. Considerando la base produttiva già presente sul territorio, le catene del valore globali nelle quali l’Italia è già inserita e gli effetti di rete con i centri di ricerca e le università.

L’innovazione tecnologica, che era già in atto, e le risposte cicliche e strutturali al Covid shock rappresentano una opportunità unica da cogliere per cambiare registro (attraverso la ricordata spinta del PNRR). Il processo richiederà tempo ed il percorso sarà irto di ostacoli. Vista la difficoltà a cambiare i paradigmi del sistema educativo-formativo e produttivo con le resistenze al cambiamento dei settori declinanti praticate attraverso il sistema del voto elettorale. In questa ‘transizione’ Visco ha rimarcato il ruolo che dovrebbe avere lo Stato. In proposito il Governatore ha messo in guardia contro un possibile equivoco: quello di pensare che, finita la pandemia e grazie alle misure straordinarie di intervento pubblico messe in campo per contrastarla, il perimetro di intervento dello Stato nell’economia non sia destinato a ritornare al livello pre-Covid. Visco ha ricordato in proposito che, già prima della pandemia, la spesa pubblica al netto della spesa degli interessi pagati sul debito pubblico rappresentava quasi la metà (45%) del Pil italiano: dato che dovrebbe essere sempre tenuto presente nelle discussioni sul presunto “predominio del libero mercato” nel sistema economico italiano. Il Governatore ha dichiarato che “la grave recessione generata dalla pandemia ha ridato centralità al ruolo dello Stato”, ma osserva: “non bisogna confondere la necessità di uno Stato più efficace nello svolgere le funzioni che già ora gli sono affidate con quella di estenderne i compiti”.

E qui entriamo in un campo minato visto che, come ci ricorda il compianto prof. Federico Caffè, la “frontiera tra Stato e mercato” nelle economie capitalistiche avanzate è estremamente mobile. Si tratta di una frontiera molto frastagliata, con sporgenze e rientranze che si modificano in direzioni diverse e talvolta anche opposte. Una frontiera chiaramente delimitata soltanto in alcuni tratti, mentre in altri è indefinita e incerta. Questa ‘frontiera mobile’ dovrebbe sconsigliare, come fa il governatore Visco, di misurare l’estensione e l’intensità dell’intervento pubblico in economia rapportando il livello della spesa pubblica al Pil. Un mero numero non ci dice nulla sugli intrecci tra Stato e mercato e dove il primo avanza ed il secondo si ritrae (o viceversa). Certo, le azioni governative influenzano i tassi di crescita del Pil e la distribuzione del reddito tra i fattori produttivi, ma lo possono fare anche le azioni e le scelte degli individui; inoltre, cercare di condizionare un qualcosa  non è come sceglierlo o crearlo ‘ex nihilo’. Mercato e Stato sono entità astratte che trasmettono un significato, a volte con ragionevole accuratezza ed a volte no. Quando si parla di mercati che funzionano o meno, il messaggio è veicolato male visto che non ha senso descrivere i mercati come funzionanti o in fallimento. Il mercato è semplicemente un’entità astratta che contempla numerose forme di interazione tra gli individui e le organizzazioni che gli stessi creano. È ugualmente fuorviante descrivere gli Stati come correttori o creatori di fallimenti del mercato.  Né gli Stati  né  i mercati, infatti, sono entità che agiscono. Sono entità passive visto che sono sempre le persone all'interno di quelle entità che prendono le decisioni e ne determinano le sorti. Potremmo dubitare fortemente, inoltre, che tutti gli attori all'interno di qualsiasi organizzazione stiano interpretando lo stesso copione. Ce la faremo? Difficile a dirsi.

Per ora la diagnosi dei mali dell’Italia è stato facile farla, la terapia sarà difficile attuarla viste le resistenze al cambiamento dei settori declinanti (col ricatto del voto) e dei fruitori dei diritti acquisiti e la prognosi resta riservata. Resteremo attaccati alla macchina del PNRR almeno per tutto il tempo che durerà il piano di ripresa e resilienza: con i contributi a fondo perduto, i prestiti condizionati e l’inizio della restituzione di questi ultimi che occuperanno la scena. Quello che accadrà durante l’implementazione del Piano e dopo dipenderà da come cambierà strutturalmente il tessuto economico-sociale e da come gli italiani decideranno di interpretare la parte che verrà loro assegnata, ed il problema non sarà di più o meno Stato o se lo Stato deciderà di fare il ‘giocatore’ (salvando le imprese in difficoltà) o ‘l’allenatore’ accompagnando le imprese e le persone nei processi di crescita.  

Marco Boleo




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